Se entro il 31 dicembre non verrà ratificato, si torna tutti al vecchio Mes del 2012
MES, la prossima retromarcia
Lo scorso 5 luglio, la Camera ha deliberato di sospendere per un periodo di quattro mesi l’esame delle proposte di legge sulla ratifica ed esecuzione dell’accordo recante modifica del trattato. Il parlamento quindi dovrà decidere entro novembre. Ma la contrarietà di Lega e Fdl rischia di indebolire gli interessi nazionali.
“Se non si trova un accordo sul nuovo modello del Patto di stabilità il rischio è che a gennaio tornino le vecchie regole e questo comporta un effetto molto complesso” per l’Italia: lo ha detto il ministro degli Affari europei, Raffaele Fitto, parlando al meeting di Rimini. Quello che però non ha detto, né lui né Giorgetti, è che la stessa cosa accade per il Mes.
Se entro il 31 dicembre non verrà ratificato, si torna tutti al vecchio Mes del 2012. E questo non conviene a nessuno, Italia compresa. Unico dei venti stati che non lo ha ancora firmato. E le due cose, patto si stabilità e Mes, sono collegate dal momento che Giorgia Meloni ha parlato di logica a “pacchetto”. Anche se l’Eurofin ha smentito che i due dossier siano stati discussi insieme nell’ultima riunione del 14 luglio. Ma potrebbero ripresentarsi allo stesso tavolo nel prossimo incontro a fine settembre.
Del resto sul patto di stabilità non ci sono molte strade. Sospenderlo, come vorrebbe Giorgetti, incontra la contrarietà di Germania, Olanda e altri Paesi del nord. Riproporlo come prima della moratoria Covid, alla luce del Pnrr, non conviene a nessuno. Resta la via della negoziazione, ed è qui che l’Italia farà pesare la sua firma sul Mes.
Che ci sarà, lo sanno tutti. Si legge chiaramente nell’ultima dichiarazione fatta a riguardo da Giorgia Meloni: “È contrario all’interesse nazionale accelerare la ratifica del trattato di riforma del Mes mentre il governo è impegnato nel negoziato decisivo per la modifica del Patto di stabilità e il completamento dell’Unione bancaria”. Quindi per il premier è contrario all’interesse nazionale “accelerarlo”, non ratificarlo.
Per tale ragione all’opposizione non conviene continuare a sottolineare, come sta facendo ad esempio sull’immigrazione o le pensioni, l’incoerenza dei partiti di centrodestra al governo rispetto alla campagna elettorale. Se si vuole il bene del Paese, e non del partito, andrebbe piuttosto spinto il centrodestra a fare scelte incoerenti con le promesse, ma in linea con i bisogni dell’Italia.
Lo scorso 5 luglio, la Camera ha deliberato di sospendere per un periodo di quattro mesi l’esame delle proposte di legge sulla ratifica ed esecuzione dell’accordo recante modifica del trattato. Il parlamento quindi dovrà decidere entro novembre.
La contrarietà di Lega e Fdl (ma anche del M5s) nasce dal fatto che il MES è uno strumento che limiterebbe la libertà dei singoli paesi di compiere in autonomia le proprie scelte in ambito economico. In particolare, per riceverlo, bisogna accettare un piano di riforme che richiede una serie di impegni per rendere sostenibili i conti pubblici come tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni, liberalizzazioni e una modifica alle leggi sul lavoro per renderlo più “flessibile”.
Misure spesso considerate impopolari da partiti populisti, ma che non è detto facciano male al Paese. Del resto il più responsabile tra i ministri (forse perchè, insieme a Crosetto, il più democristiano) Raffaele Fitto, pur non rilasciando interviste, in ogni occasione pubblica, dal Parlamento al Meeting di Rimini, sottolinea come l’imperativo numero uno, a partire proprio dal Pnrr, è quello di razionalizzare la spesa.
La riforma da votare richiede due cambiamenti piuttosto rilevanti rispetto al Mes 2012: l’introduzione di un obbligo per un paese che chiede aiuto al MES di emettere specifici titoli di stato con una clausola che permetterebbe al paese di restituire meno di quello che deve ai suoi creditori, e l’istituzione di un fondo di risoluzione unico per aiutare le banche europee più in difficoltà, finanziato dalle stesse banche europee con una disponibilità da 55 miliardi di euro.
Cosa ha da temere l’Italia da queste due modifiche non è mai stato chiarito dagli esponenti contrari alla ratifica. Che oggi restano ancorati a semplici bandierine antieuropee da sventolare proprio in vista delle prossime elezioni per il parlamento di Bruxelles. La differenza è che, tranne i 5 stelle, gli altri oggi sono al governo. E un Governo che si presenta come il difensore di ultima istanza degli interessi nazionali, continuando a porre l’unico veto al resto d’Europa, corre il rischio di indebolirli.
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