Uniti contro il Mes
Mes, si spacca la maggioranza e torna il flirt tra Lega e M5S

L’estate non porta bene a Conte, che ogni anno in questa stagione vede sciogliersi le sue maggioranze al sole. Nella giornata di ieri tutto è parso concorrere al ritorno del Conte 1, con Lega e M5S allineati come ai vecchi tempi. Succede infatti che mentre il segretario del Pd Nicola Zingaretti scrive una lunga lettera-articolo sul Corriere della Sera per sottolineare l’urgenza di ricorrere ai fondi del Mes per rafforzare il sistema sanitario, dai Cinque Stelle gli rispondono con un sonoro niet: «Il Mes non è uno strumento idoneo e restiamo contrari. Se debito deve essere, allora meglio che avvenga attraverso lo scostamento di bilancio che utilizzando uno strumento che riteniamo non solo inidoneo ma pericoloso». Ma come, giornate intere da parte della regìa di Dario Franceschini a tessere e a cucire, e poi i due principali soci di maggioranza si ritrovano già sulle barricate? A Zingaretti basterebbe poco per chiedere di vedere le carte: potrebbe alzare il telefono e chiedere ai suoi partner di maggioranza un vertice per discutere del Mes: peraltro ce ne sono diversi convocati in questi giorni, come quello dedicato al decreto sicurezza. Ma vedere le carte può essere rischioso, e così Zingaretti nicchia.
«Rifiutare 36 miliardi a costo zero non è solo sbagliato, è da irresponsabili», taglia corto Luigi Marattin, di Italia Viva. Il ricorso al fondo salva Stati crea una frattura netta, non solo nella maggioranza, tra Pd e M5s, ma anche nell’opposizione di centrodestra. Lega e Fratelli d’Italia sono fermamente contrari all’uso dei fondi del Mes, a meno che non si cambi il Trattato istitutivo, cancellando le condizioni sancite dal documento, perché non si fidano delle rassicurazioni delle istituzioni europee sul fatto che non saranno applicate. Forza Italia è, invece, favorevole: si è battuta fin dall’inizio per l’uso del Mes, con Silvio Berlusconi convinto dell’assoluta necessità di questi fondi per il nostro Paese. A favore dei fondi destinati alle spese sanitarie sono anche i governatori del centrodestra, e i leghisti in primis, attratti dalla boccata d’ossigeno che i finanziamenti potrebbero rappresentare per i sistemi sanitari regionali di ognuno. Sei miliardi alla Lombardia e quattro miliardi al Veneto non sono cifre sulle quali si può passare sopra con leggerezza.
Le divisioni interne al centrodestra sono note, specchio delle differenti appartenenze alle famiglie europee. FI è ben salda nel Ppe, mentre la Lega appartiene al gruppo sovranista, FdI ai Conservatori. Sicuramente se e quando si presenterà l’occasione di un voto parlamentare sul Mes, i tre partiti si divideranno, tanto sono sedimentate queste posizioni. FdI e Lega voteranno contro e FI convintamente a favore. Un eventuale cambio di posizione dei pentastellati, se mai ci sarà, potrebbe aumentare il malcontento nelle truppe del Movimento e accelerare la fuoriuscita di altri parlamentari verso il gruppo Lega. Nel partito di Matteo Salvini si attendono tre, al massimo quattro, nuovi ingressi, tra ex M5s e gruppo Misto, anche se non si fa parola sui tempi. Ma con il governo che intende rinviare l’eventuale voto sul Mes a settembre (insieme al pacchetto sul Next generation Ue), sembra più ravvicinato l’altro nodo su cui “ragiona” il centrodestra, il voto sullo scostamento di bilancio. FI, che sta facendo del “sì” al Mes il suo cavallo di battaglia anche per differenziarsi all’interno della coalizione, minaccia di non votare il nuovo scostamento necessario per reperire fino ai circa 20 miliardi previsti dal decreto di sostegno all’economia da varare entro metà luglio, nel caso in cui il governo decida un nuovo rinvio del voto sul fondo salva Stati.
Seppur con altre motivazioni, anche in FdI e Lega la riflessione è in corso. Finora l’opposizione non ha mai fatto mancare la sua autorizzazione allo scostamento, che, per passare in Parlamento, necessita dei voti della maggioranza assoluta, in un momento in cui i numeri di M5s-Pd-Iv-Leu sono risicati al Senato. Si vedrà nei prossimi giorni se ci sarà un cambiamento di linea o se lo stato dei rapporti con il governo – con l’invito promesso da Giuseppe Conte ancora non arrivato – porterà a una tale rottura in Parlamento da mettere a rischio il reperimento di risorse in deficit.
Mentre il Pd fatica nel mettere insieme un gruppo di Responsabili che possa garantire a Conte di passare indenne la maledizione estiva, il ritorno di fiamma tra Lega e Cinque Stelle metterebbe i sigilli all’arrivo di Conte fino al 2023. Ieri dopo l’apertura de L’Espresso al No per il taglio dei parlamentari, Lega e Cinque Stelle hanno capito di potersi trovare riuniti anche su quel fronte. Il Conte-ter: non c’è due senza tre.
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