Caos, testa coda e imbarazzi. La larga maggioranza non si presenta in Commissione Esteri e lascia che siano le opposizioni a mandare avanti, fino all’aula, il proprio testo che dà il via libera alla ratifica del Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Nelle stesse ore, siamo più o meno alle due di ieri pomeriggio, Palazzo Chigi sconvoca il consiglio dei ministri convocato per le 17.

Il piatto forte era la riforma del codice della strada by Matteo Salvini. Erano già girate bozze e il vicepremier e ministro delle Infrastrutture aveva spiegato con orgoglio il giro di vite su automobilisti e monopattini. “Sopraggiunti impegni della premier” la motivazione ufficiale. Ma sì, dai: sarà proprio così. In fondo perché ostinarsi a voler cercare un link tra il pasticcio del Mes (dove la maggioranza è incapace di trovare un accordo tanto da andare sull’Aventino) e le tensioni che sono esplose – nel centrodestra – mercoledì, appena Giorgia Meloni è tornata dal bilaterale con Macron a Parigi. Doveva essere un successo.

Palazzo Chigi si è sforzato in ogni modo per esaltare la valenza strategica di quel rapido incontro all’Eliseo arrivato dopo mesi di tentativi. La premier ha fatto appena in tempo a mettere piede in ufficio e già Forza Italia ha mandato sotto la maggioranza sul decreto Lavoro – il decreto Primo Maggio, fiore all’occhiello della premier – un segnale chiaro di cosa potrebbe succedere se qualcuno ipotizzasse di trattare gli azzurri come un rimorchio.

Subito dopo, sempre mercoledì, il presidente della Commissione Esteri Giulio Tremonti (Fdi) ha letto la lettera del capo di gabinetto del Ministero economico, guidato dal leghista Giancarlo Giorgetti, in cui si spiega perchè il Mes anzichè una iattura è uno strumento utile a rafforzare i titoli di stato italiani. Il contrario di quanto sostengono con argomenti più o meno circostanziati Lega e Fratelli d’Italia. Per quanto la Lega, in testa Salvini, abbia provato a liquidare la lettera come un fatto tecnico quando invece “qui decide la politica”, quel documento di via libera al Mes ha messo a nudo tutte le differenze nella maggioranza.

Distanze che la mettono in un angolo da cui è difficile uscire. Non è uno scontro a freddo, imprevisto e inatteso. Un tradimento, insomma. Il ministro Giorgetti da ormai sette mesi partecipa all’Eurogruppo (la riunione dei 27 ministri economici) e non ce n’è uno che non termini con la raccomandazione: “Italia deve ratificare il Mes, lo hanno fatto tutti e l’assenza del vostro atto parlamentare blocca il Meccanismo e condiziona tutti gli altri Paesi”.

Da un paio di mesi Giorgetti ha anche iniziato a capire – con l’aiuto del commissario Ue Paolo Gentiloni – che senza la ratifica l’Italia resta sola. Significa vita dura per tutte le rate del Pnrr (infatti non è ancora arrivata la terza scaduta a fine marzo), durissima sulle modifiche alle norme del Patto di stabilità, alla flessibilità per lo scorporo delle spese per investimenti digital e green dalla spesa pubblica e dal debito. Significa anche isolamento nella lotta all’immigrazione clandestina e nella gestione dei flussi migratori. Ieri pomeriggio fonti della Commissione europea hanno spiegato all’Ansa che “all’ultimo Eurogruppo il governo italiano aveva parlato di passi verso la ratifica in modo che possa entrare in vigore a fine anno”.

Anche Giorgia Meloni ha capito che una delle bandiere identitarie del suo sovranismo è destinata ad essere ammainata in nome del pragmatismo (che lei stessa invoca a principio guida della sua azione di governo), della real politik e della strategia che la immagina al governo dell’Europa con i “suoi” Conservatori e il Ppe. Anche ieri pomeriggio la premier italiana ha incontrato la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola che correrà con il Ppe. “In fondo – ammettono con massimo riserbo alcuni Fratelli – ratificare non significa attivare, usarlo”. Appunto, dunque è solo una stupida questione di principio.

Ieri il presidente Tremonti sembrava di buon umore e ben disposto con i giornalisti. Li ha invitati nell’ufficio e ha mostrato loro un quadretto in cui era riportata una sua citazione sulla globalizzazione. “Correva l’anno 2008, un mese dopo sarebbe crollato Lehman Brothers…”. La lettera del Mef è del 9 giugno, è arrivata in Commissione il 14 ed è stata protocollata il 20…. Lei ne conosceva il contenuto? “Diciamo un po’ prima di diffonderla…”. Non dice altro l’ex ministro economico dei governi Berlusconi. Uno che conosce bene le dinamiche di via XX Settembre e sa che una lettera del genere viene scritta e diffusa con l’avallo non solo del ministro competente ma anche del premier in carica. Diversamente sarebbe l’anticamera delle dimissioni. Del ministro economico.

Ecco che lo scontro politico in maggioranza non è tra Giorgetti e Meloni. Piuttosto la premier sta facendo di tutto per trovare una via d’uscita dignitosa dall’angolo in cui si è cacciata. Ma la reazione di Salvini è stata super negativa: “La decisione politica della Lega è di non ratificare il Mes”. Punto. Con lui un bel pezzo di Fratelli d’Italia mentre Forza Italia è più possibilista. “A noi non sta bene il regolamento del Fondo”.

In questo stallo pericoloso, governo e maggioranza decidono di non decidere. Ieri non si sono presentati in Commissione – neppure il membro del governo – e hanno lasciato a Pd, Terzo Polo e + Europa la responsabilità di approvare il loro testo che prevede la ratifica. Si sono astenuti i 5 Stelle, nemici storici del Mes che si ritrovano a braccetto della Lega come ai tempi del Conte 1 e 2 e hanno già promesso che voteranno contro.

Il testo delle opposizioni arriverà quindi in aula, come previsto, il 30 giugno, il ponte dei SS. Pietro e Paolo nella Capitale. La maggioranza punta al rinvio, l’ennesimo, almeno fino a settembre. Non può votare no perché vorrebbe dire bruciare le tante piccole conquiste della Meloni statista ed europeista. Potrebbe, e anche questa è un’ipotesi che circola, lasciare che le opposizioni – senza i 5 Stelle – approvino la ratifica in aula. Sarebbe l’ammissione della non affidabilità di una maggioranza che vorrebbe governare l’Italia. E anche l’Europa.

Claudia Fusani

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