«Chiedo al procuratore generale della Cassazione (Giovanni Salvi, titolare dell’azione disciplinare nei confronti dei magistrati, ndr) di essere ascoltato come persona informata dei fatti sulla chat fra il procuratore di Reggio Emilia Marco Mescolini e l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara», dichiara Giovanni Paolo Bernini, ex assessore del Comune di Parma, indagato e poi prosciolto per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio nell’ambito dell’inchiesta Aemilia sulle infiltrazioni dell’ndrangheta in Emilia Romagna. Mescolini inizialmente voleva arrestare Bernini ma il gip respinse la richiesta. Il magistrato fece allora appello al tribunale del riesame che a sua volta rigettò.

Dottor Bernini, perché questa decisione?
Prima ancora che esplodesse lo scandalo “Palamara” avevo pubblicato un libro, Storie di ordinaria ingiustizia, in cui oltre a raccontare la mia vicenda giudiziaria, ricordavo come era avvenuta la nomina, nel luglio del 2018, dell’allora pm Mescolini a procuratore di Reggio Emilia.

Non aveva letto le chat?
Assolutamente no. Il libro è uscito ad aprile del 2019. Le chat di Palamara iniziarono ad essere pubblicate dai giornali molti mesi dopo.

Può raccontare cosa aveva scritto?
La Procura di Reggio Emilia era vacante da luglio del 2017. Per il posto di procuratore avevano fatto domanda diversi magistrati. Alla fine erano rimasti in due, Mescolini e Alfonso D’Avino, procuratore aggiunto a Napoli. Quest’ultimo era quello con più titoli.

Poi?
La nomina venne ritardata per mesi e mesi. Nel libro spiegai il motivo di questi continui rinvii: al Csm dovevano trovare un posto a D’Avino per permettere a Mescolini di diventare procuratore di Reggio Emilia.

Nel suo libro questo passaggio è indicato come soluzione “transattiva”.
Certo. Le correnti si misero d’accordo. Aspettarono che si liberasse, a marzo del 2018, la Procura di Parma per poter accontentare Mescolini.

D’Avino, infatti, ritirò la domanda per Reggio Emilia e andò a Parma…
Comunque la mia ricostruzione è confermata dalla chat in cui Mescolini pressa Palamara con decine e decine di messaggi. Fra i più significativi, oltre a quello in cui Mescolini preannuncia a Palamara che gli invierà una bozza di parere per la propria nomina, c’è sicuramante questo: “Su Reggio fai di tutto per chiudere. È importante per tutto”. Un messaggio dal contenuto “criptico” che Mescolini non ha mai spiegato.

Lei aveva presentato un esposto al Csm sulla conduzione dell’indagine Aemilia. Lamentava indagini a “senso unico”, cioè solo su esponenti del centrodestra, da parte di Mescolini. L’esposto è stato archiviato in quanto non è possibile “valutare il merito del provvedimenti giurisdizionali pronunciati dai magistrati”.
Guardi, Mescolini è l’ultimo magistrato che poteva condurre questa indagine. Io credo che Mescolini, almeno sotto il profilo dell’apparenza, non sia un magistrato imparziale. È stato capo ufficio dell’allora vice ministro dell’Economia Roberto Pinza (Pd) nell’ultimo governo Prodi. Un incarico che più “politico” non esiste.

Mescolini l’accusava di voto di scambio politico mafioso.
Una accusa lunare. Avrei dato, tramite bonifico bancario, 50mila euro a un boss calabrese in cambio di 200 voti. Io mi sono sempre andato a cercare i voti fra la gente. Ho fatto quattro campagne elettorali, nel 1994 a Parma era stato il più votato di Forza Italia…

…voti dei calabresi?
Può essere. Ma non ho pagato un euro per questi voti. Sono voti presi perché riscuotevo la fiducia delle persone. Io non ho mai fatto distinzione di provenienza geografica o di classe sociale. E poi vorrei capire: se un rappresentante del centrodestra cerca i voti fra i cittadini di origine calabrese, è scambio politico-mafioso. Se, invece, lo fa uno del Pd allora è normale e democratica ricerca del consenso?

Lei ripete spesso che i vertici locali del Pd non sono mai stati sfiorati dalle indagini.
Dico semplicemente non è pensabile che la sinistra che governa ininterrottamente dal 1945 l’Emilia Romagna e soprattutto Reggio Emilia, epicentro riconosciuto dei clan calabresi nella Regione, non abbia mai avuto contezza dell’ndrangheta. A Reggio Emilia i cutresi hanno fatto per anni ogni genere di affare: appalti, costruzioni, servizi. E vogliamo credere che ciò sia avvenuto senza l’avallo del territorio? Soprattutto in settori strategici come l’urbanistica?

L’allora procuratore di Bologna Roberto Alfonso ha detto ieri in una intervista al Riformista che ci sarebbero ancora tanti aspetti da approfondire.
Ho letto l’intervista. Il dottor Alfonso conferma quello che ho sempre detto. Che non siano stati valorizzati gli esiti investigativi dei carabinieri sui rapporti fra esponenti locali del Pd e i cutresi. Però, sempre leggendo l’intervista, mi chiedo come avvenga il lavoro nelle Procure. Roberto Pennisi, il sostituto della Procura nazionale antimafia di cui Alfonso aveva chiesto l’applicazione per aiutarlo nelle indagini, avrebbe chiesto di essere tolto dal procedimento Aemilia per asseriti contrasti “personali” con Mescolini. Possiamo sapere quali furono questi contrasti che spinsero uno dei magistrati più esperti nella lotta all’ndrangheta a lasciare l’indagine?