È morto e si è portato nella tomba i segreti della mai esistita guerra della mafia e della altrettanto mai esistita “trattativa” fra Stato e mafia (sentenza definitiva della Corte di Cassazione). Lui era ritenuto responsabile della bomba in via dei Georgofili, quando con una campagna dinamitarda senza né capo né coda, fu fatto credere allora che Cosa Nostra fosse sbarcata sul continente come un esercito insurrezionale, come una Olp palestinese, o l’Ira irlandese, o l’Eta basca.

Matteo Messina Denaro non viveva in una caverna attrezzata come Totò Riina, ma in appartamenti normali, dove tutti lo vedevano e moltissimi lo riconoscevano anche dalle videocamere del supermercato che frequentava vivendo una vita borghese comune e tranquilla, usando i documenti sanitari autentici per la terapia contro il cancro al colon di cui è morto. Fu arrestato a gennaio da un colonnello dei carabinieri il quale per strada lo fermò chiedendogli: “Come vi chiamate?”. E lui: “Non facciamo domande inutili. Sto arrivando! Sai benissimo chi sono”. Matteo Messina Denaro ha accettato di trascorrere gli ultimi mesi della sua malattia in ospedale, fino al coma irreversibile per cui aveva lasciato istruzioni di non insistere con le terapie. E si è spento così senza mai dire nulla sulla finta benché sanguinaria guerra che sacrificò molte vittime innocenti pur di dare l’impressione che una vera guerra fosse in atto e che poi una indecente e segreta trattativa l’avesse chiusa.

La sua agonia è stata straordinariamente inserita fra le primissime notizie dalle News come se si trattasse di una banale fine di una banale canaglia, astutamente catturata al termine di laboriose indagini. L’ultimo testimone e protagonista di una verità mai emersa scende nella tomba con i suoi segreti.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.