Il volume
La metafisica concreta di Massimo Cacciari, un mondo che deve riscoprire l’oltre il reale
Massimo Cacciari, in ‘Metafisica concreta’ (Adelphi), parte da quel tremito evangelico del ‘nos adoramus quid scimus’, la manifestazione di uno Spirito che fattosi parola forgia un ponte di connessione tra il velo d’ombra dell’inconoscibile e l’incarnazione, concreta appunto, dello Spirito.
“La musica è il solo passaggio che unisca l’astratto al concreto”, ha scritto Antonin Artaud. Nella musica concreta, nel senso che fu di Edgard Varèse e di Pierre Schaeffer come costituzione assemblata di ‘elementi preesistenti, presi in prestito da un qualsiasi materiale sonoro, sia rumore o musica tradizionale’, il senso musicale si situa in un punto-oltre. Così alla metafisica, scienza dell’assoluto e della realtà prima, la concretezza si attaglia come commistione, che fu già propria di Pavel Florenskij, tra scienza e filosofia, nel comune obiettivo di comprendere il reale e ciò che si situa-oltre-il-reale. Massimo Cacciari, in ‘Metafisica concreta’ (Adelphi), parte da quel tremito evangelico del ‘nos adoramus quid scimus’, la manifestazione di uno Spirito che fattosi parola forgia un ponte di connessione tra il velo d’ombra dell’inconoscibile e l’incarnazione, concreta appunto, dello Spirito.
E se per Florenskij la ‘metafisica concreta’ è il raggio di luce ctonia che conduce alla soglia della non-rappresentabilità, di una conoscenza integrale, per Cacciari essa è un prisma arcuato che si incunea nel costato di Parmenide, letto da Giorgio Colli e filtrato nella diretta corrispondenza del Brahman vedico, che già F. Capra aveva visto come connessione scienza-tecnica-metafisica, ne ‘Il Tao della fisica’.
Prosegue poi lungo la rivoluzione scientifica propiziata dall’architettura platonica, che proprio in alcuni fisici come Heisenberg o Schrödinger vede il superamento della frattura neopositivista negante l’aspetto meta della fisica, l’oltre, il velato inconoscibile che si plasma e muta geneticamente in connessione con sapienze mistiche e financo magico-ermetiche, che Cacciari richiama a proposito di Pauli ma che possiamo notare anche nell’opera di un Newton, che fu alchimista.
Nell’elegante tessitura musicale del volume, Cacciari compone una partitura che risale in un mondo che sa, e deve, riscoprire il senso dell’oltre dopo averlo obliato o negato nella pretesa positivistica di una scienza conchiusa. E se in Galileo, come rileva Cacciari, si situa un autentico spartiacque e nella sua incessante opera volta al senso rinascimentale della scienza, lui che fu contemporaneo di Giordano Bruno, si situa una nuova modalità di interrogazione metafisica, nei limiti percepiti all’affondo nel cuore della Physis, c’è in tutta la evoluzione della scienza un timbro tragico. L’intera opera di Cacciari è una ricomposizione armistiziale di questo processo di divaricazione tra fisica e metafisica, ovvero la forma di una sonorizzazione concreta che superi la tragicità di quel timbro ricaduto nella vertigine dell’assoluto.
E riprendendo Leibniz, la cui monade è informata e informa di suo, facendo consistere l’universo-tutto di una onda gravitazionale nutrita di informazioni, Cacciari disvela una verità fisico-quantistica che il grande fisico Archibald Wheeler ha ipostatizzato nella formula ‘it from the bit’, la cosa, o meglio l’ente, deriva dalla informazione.
Fisica e matematica colte nel rigoglio di fuoco del XX secolo, sul crinale declinante della riflessione magmatica sulla tecnica di Heidegger, Jünger, Benn, Schmitt, si sarebbero concretamente venute a confrontare con gli ambiti più interstiziali e oscuri, situati oltre il punto su cui riflettono e danzano bargigli di luce. Abisso di luce che accompagna, evocando la lezione di Nietzsche, chi ascende al sole, minacciato dalla penombra di nubi che mediano il senso e la percezione di questa ascesa. E c’è in questa apparente ricerca titanica, più che prometeica, nella forma di adesione al tragico dell’origine della scienza e della tecnica, la duplicità inconoscibile di un “‘ombra di un sole impossibile che si rivela solo con l’ombra – in principio era la luce, e da essa derivarono le tenebre”, per citare Andrea Emo.
La tirannica autopoiesi scientifica, idealizzata nella sua frattura con il senso luminoso dell’ente e con il suo incedere tellurico intessuto di istanze egemoniche, pone la filosofia davanti la spinosa questione della sua ratio vitale. E che proprio nel secolo della tecnica, negli scoppi sordi di una mobilitazione, militare, corporea, spirituale, che si farà totale, riscoprirà la sagoma luminescente di un assoluto, di una forma concreta di amore, perché per riprendere Cristina Campo citata da Cacciari, ‘il punto di congiunzione tra l’anima e il corpo non è forse diverso da quello tra l’amore e l’oggetto amato’.
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