La riforma giustizia
Mettere l’anima nel diritto penale, Cartabia è all’altezza della sfida
Lunedì scorso sono rientrato nella sede del Ministero della Giustizia in via Arenula per un incontro concesso dalla ministra Marta Cartabia a Riccardo Magi, deputato di Più Europa, presentatore delle proposte più significative elaborate dalla associazione La Società della Ragione il quale, con grande sensibilità, ha voluto che lo accompagnassi.
L’incontro si è svolto nella grande stanza dei ministri, caratterizzata da una penombra che contrasta con una visione della giustizia luminosa e trasparente e da affreschi alle pareti frutto del realismo del regime. È ancora presente la scrivania di Togliatti recuperata da Diliberto quando era ministro come cimelio storico; chissà se il cinismo del Migliore ispirò la decisione di licenziare Alessandro Margara da Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.
In questa stanza per cinque anni mi confrontai da sottosegretario con i tre ministri, Flick prima e poi Diliberto e Fassino. Anni straordinari soprattutto per l’iniziale tensione riformatrice e per l’eccezionale livello dei responsabili delle direzioni generali e dei loro collaboratori. Ricordo per primo Loris D’Ambrosio, mitico Capo di gabinetto e poi cito a caso Giorgio Lattanzi, Vladimiro Zagrebelsky, Emilio Lupo, Luigi Scotti, Franco Ippolito, Luigi Marini, il mio capo segreteria Giuseppe Cascini, Domenico Carcano, Giorgio Fibelbo e il capo del Dap prima di Margara, Michele Coiro, autorevole personalità di giurista e garantista. Magi ha esordito con un apprezzamento per le parole usate dalla ministra in occasione della presentazione della Relazione annuale del Garante nazionale delle persone private della libertà personale, Mauro Palma, in favore delle misure alternative e di preoccupazione per il rinnovato sovraffollamento carcerario.
A tale riguardo abbiamo messo in luce la causa di questa condizione: l’art. 73 della legge antidroga che, per piccolo spaccio e detenzione di sostanze illegali, provoca l’ingresso e la permanenza in carcere di oltre il 30% dei detenuti ai quali vanno aggiunti altrettanti soggetti qualificati come tossicodipendenti. In totale oltre il 50% dei ristretti lo sono per una sola legge e per una questione non criminale ma sociale. Magi ha fortemente sottolineato che è in discussione presso la Commissione Giustizia della Camera la proposta di rendere il comma relativo ai fatti di lieve entità come articolo autonomo per evitare arresti e detenzioni ingiustificate. A confortare questa visione abbiamo consegnato alla ministra, in anteprima, una copia del XII Libro Bianco sugli effetti della legge Iervolino-Vassalli (non più Fini-Giovanardi proprio grazie alla decisione della Consulta del 2014, la sentenza 32 di cui giudice relatore e redattore fu proprio Marta Cartabia) sulla giustizia e sul carcere.
Abbiamo anche rimarcato che presso la Commissione Giustizia al Senato è iniziata la discussione sul disegno di legge votato dal Consiglio regionale della Toscana e inviato al Parlamento per garantire il diritto costituzionale alla affettività in carcere, auspicando una azione di persuasione per giungere a un risultato di civiltà e umanità.
Certamente l’annuncio che presto si tornerà ai colloqui con le famiglie in presenza e senza le barriere di plexiglas è cosa buona, ma non basta tornare a prima della pandemia. Occorre garantire l’applicazione del Regolamento del 2000 e condizioni igienico-sanitarie tali da assicurare dignità ai detenuti e spazi per studio, lavoro e cultura che offrano chance per il loro reinserimento sociale. L’impegno per luoghi di abitazione, progetti di housing sociale e occasioni di lavoro vero deve coinvolgere istituzioni locali, volontariato e magistratura di sorveglianza. Non è intelligente tenere in carcere fino all’ultimo giorno le persone senza sperimentare la prova della libertà.
Abbiamo segnalato la proposta per la modifica dell’articolo 79 della Costituzione per un nuovo statuto di amnistia e indulto che consenta al Parlamento, a determinate condizioni, di esercitare il potere di clemenza. Infine ho ricordato che la chiusura degli Opg impone una riforma del doppio binario del Codice Rocco per respingere le nostalgie del manicomio. Sullo sfondo è rimasta la questione dell’ergastolo ostativo: in merito, ho informato la ministra che a giorni sarà stampato il volume “Contro gli ergastoli” curato da Andrea Pugiotto, Stefano Anastasia e da me, con prefazione di Valerio Onida, per la collana della Società della Ragione edita da Ediesse/Futura. Mi è venuto spontaneo ricordare che il nodo della giustizia non è riducibile a interventi organizzativi, seppure indispensabili. C’è bisogno soprattutto di un supplemento d’anima per ricostruire un patto di convivenza e di riconciliazione nella società disgregata. Per questo l’obiettivo di un nuovo codice repubblicano per un diritto penale minimo e mite, capace di superare il Codice Rocco dopo novanta anni di vigenza, non può essere confinato nel regno dell’utopia.
Abbiamo capito che la ministra Cartabia ha l’assillo di chiudere la partita dei sei provvedimenti in cantiere. Noi ci auguriamo che cessi presto il cicaleccio e la lite tra comari e che si chiuda una partita tutta di di schieramento e di potere. Così si potrà parlare finalmente dei valori di fondo e della Costituzione. È stato un colloquio intenso, piacevole e con un carattere simpatetico. Uscendo, Riccardo Magi e io ci siamo guardati e ci siamo detti che per un’ora la buona politica era tornata a vivere. Sarebbe un delitto sprecare questa occasione. Ci auguriamo che i partiti orientati a ricreare un clima di inclusione sociale dove nessuno è mai perduto per sempre, abbiano consapevolezza della sfida e ne siano all’altezza. Come lo è la ministra.
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