Ad aiutare Amra la compagna di cella a Rebibbia Marinella
“Mi dicevano: ‘Chiudi le gambe!’ e mia figlia soffocava nella placenta”, il racconto della donna che ha partorito da sola in carcere
Amra ha 24 anni, quattro figli, una vita nel campo nomadi di Castel Romano, non è andata oltre la terza media, diverse volte dentro e fuori il carcere. Lo scorso 31 agosto ha partorito una bambina nel penitenziario di Rebibbia a Roma dov’era detenuta. A aiutarla la compagna di cella Marinella. Amra ha parlato di quel caso, denunciato dalla Garante dei detenuti del Lazio Gabriella Stramaccioni, in un’intervista a Repubblica. “Questa cosa la faccio solo perché nessuno deve vivere ciò che ho vissuto io, nessuna donna dovrebbe partorire in carcere”, ha fatto sapere la donna assistita dal penalista Valerio Vitale. La Garante e la commissione carceri della camera penale di Roma stanno approfondendo la vicenda.
“Sono stata arrestata il 22 giugno. Ero incinta di sei mesi e mi hanno portata in ospedale. I poliziotti erano gentili e in commissariato ci hanno dato da bere e mangiare. Il giorno dopo però mi hanno accompagnata in tribunale e dopo la decisione del giudice sono arrivati i poliziotti vestiti di blu e mi hanno portata in carcere, nel reparto cellulare, dove ci sono piccole celle”. Per alcune perdite è stata ricoverata all’Ospedale Pertini. In passato aveva avuto minacce di aborto.
Racconta di essere stata portata di nuovo a Rebibbia, in infermeria. “Avrei preferito 6 mesi negli altri reparti piuttosto che un giorno in infermeria. Ero da sola in cella, le altre urlavano, una ragazza sbatteva la testa contro il muro, un’altra si strappava i peli e li mangiava. Una donna diceva che avrebbe ucciso mia figlia non appena fosse nata. Io piangevo sempre. Poi il 9 luglio è finito l’isolamento covid e hanno portato la mia amica Marinella, era stata arrestata con me”.
Le contrazioni sono cominciate già a metà agosto. “La sera del 31 agosto stavo male, avevo mal di testa e di pancia, mi hanno dato una tachipirina. Era passata anche l’assistente, le avevo detto che stavo male ma è andata via. Non ho mai pianto così tanto, avevo paura per la mia bambina. Avevo troppo dolore. Marinella allora ha iniziato a suonare. L’assistente ha detto: ‘Chi è che suona a quest’ora? cosa volete? Ora arrivo’. Era tutto buio, l’assistente è arrivata fuori dalla cella ma non mi credeva, voleva andare via. Marinella ha urlato: ‘Non ci lasciare’. Mi dicevano di chiudere le gambe, ma Marinella mi ha detto di non farlo perché il bambino poteva soffocare. Poi ho messo la mano sotto e ho sentito la testa, avevo paura cadesse per terra e mi sono sdraiata. È nata da sola e non piangeva”.
La placenta era tutta sulla faccia della bambina. A toglierla con le mani la compagna di cella Marinella. Così avrebbe cominciato a piangere e a respirare la neonata. Amra dopo il parto è rimasta in ospedale. Dopo la condanna a casa. Il figlio più grande ha 5 anni. La donna non ha sogni ma desidera che i figli abbiano un futuro diverso dal suo.
Amra ha partorito da sola, questa la replica dell’Asl Roma 2 sempre a Repubblica, perché il dottore era al telefono con il 118. Per il medico la 23enne avrebbe dovuto partorire in ospedale, perciò era andato in medicheria a telefonare. “Secondo voi è credibile che un medico sia andato a chiamare l’ambulanza? Casomai mandava un’infermiera”, ribadisce ancora Amra. In corso le indagini degli ispettori mandati dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia. “Occorre fare chiarezza sui fatti. Al di là delle ragioni per le quali una persona si trova in carcere, a nessuno deve accadere ciò che è successo ad Amra. Il valore della vita umana ha preminenza su qualsiasi altra cosa. Mi auguro che questa vicenda contribuisca a dare maggiore tutela ai diritti delle detenute in stato di gravidanza”, commenta il difensore della ragazza, Valerio Vitale. Amra era stata arrestata per il furto di un portafogli.
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