L'inchiesta a Vicenza
Michele Merlo, primo indagato per la morte del cantante: sotto accusa i medici che lo hanno curato
Per la morte di Michele Merlo, il cantautore 28enne morto stroncato da un’emorragia cerebrale scaturita una leucemia fulminante all’ospedale Maggiore di Bologna il 6 giugno scorso, c’è almeno un indagato.
A scriverlo oggi è il Corriere del Veneto dopo che il fascicolo di indagine è passato dal capoluogo dell’Emilia Romagna alla procura di Vicenza, competente per territorio. Il reato contestato nell’inchiesta assegnata al pm Barbara De Munari è quello di omicidio colposo in merito a condotte mediche.
L’ipotesi, dopo le verifiche condotte dai Nas e l’autopsia svolta sulla salma del cantante, è che le eventuali responsabilità vadano ricercate nella fase antecedente al ricovero dell’ex cantante di ‘Amici’ e ‘X Factor’ al ricovero presso l’ospedale Maggiore di Bologna o la visita al pronto soccorso di Vergato. Insomma, eventuali ‘colpe’ sarebbero del suo medico di famiglia di Rosà, dove Michele viveva con la famiglia, o del Pronto soccorso di Cittadella, in provincia di Padova. A carico dei medici bolognesi infatti, dopo mesi di accertamenti e verifiche, non erano emerse responsabilità.
‘Mike Bird’, come si faceva chiamare Michele, secondo quanto emerso dai periti che hanno svolto l’autopsia si era presentato al pronto soccorso di Vergato il 2 giugno con con placche, sangue dal naso, mal di gola e mal di testa ed è stato dimesso con diagnosi di faringite e prescrizione di un antibiotico. Per lui però era già troppo tardi: “Qualora la terapia fosse stata somministrata a partire dal 27-28 maggio (…) avrebbe avuto una probabilità di sopravvivenza compresa tra il 79 e l’87 per cento”, era stata la conclusione dei periti Antonio Cuneo e Matteo Tudini. Insomma, anche se i medici avessero intuito i ‘segnali’ della leucemia, Michele non si sarebbe potuto salvare.
Per questo il fascicolo di Bologna, senza indagati, è stato inoltrato a Vicenza. Il padre del cantante, Domenico, aveva denunciato che “il 26 maggio (Michele, ndr) si presentò presentò al Pronto soccorso di Cittadella con dolori e uno strano ematoma alla gamba. Ma tre ore dopo il triage (gli era stato assegnato un codice bianco ndr), era ancora in attesa. Così, scocciato, andò via”.
Non solo. Il 28enne aveva anche spedito una mail poche ore prima alla medicina di gruppo di Rosà allegando la foto di un ematoma alla gamba. Secca la risposta, quasi a redarguirlo: “L’utilizzo della mail è unicamente per la richiesta di terapia cronica. Per qualsiasi altro motivo, chiamare in segreteria. Inoltre chiediamo di non inviare foto”.
Nei giorni scorsi il medico di Rosà, Vitaliano Pantaleo, ha spiegato la sua posizione in una intervista in cui rivendica la bontà del suo operato: “Credo di aver fatto bene il mio lavoro ma non passa giorno che non pensi a lui…”. Quanto alle condizioni del 28enne, aveva spiegato il medico: “E’ venuto da me mostrandomi un grosso ematoma che aveva ad una gamba e dicendomi di esserselo procurato durante un trasloco. Ovviamente mi sono fidato, pensando ad una forte botta o ad uno strappo”.
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