"Mi devo riprendere in mano ciò che mi è stato tolto con tanta forza"
Michele Padovano non era un narcos, l’ex Juventus assolto dopo 17 anni: “Carriera distrutta, Vialli tra i pochi a starmi vicino”

Michele Padovano non è, non era, non è stato un narcotrafficante. Dopo 17 anni si è conclusa la sua battaglia legale, già definita retoricamente la sua partita più importante: la Corte d’Assise d’Appello ha assolto l’ex calciatore della Juventus e della Nazionale dall’accusa di traffico di droga. “È un’emozione veramente molto forte. Io e la mia famiglia abbiamo smesso di piangere poco fa, perché era una notizia che aspettavamo da tempo. Dopo 17 anni finalmente abbiamo rivisto la luce. E le assicuro che 17 anni, sapendoti innocente, sono tanti”, ha raccontato in un’intervista a Il Foglio.
Padovano, quando venne arrestato, aveva 38 anni. Era il 2006. Aveva giocato nell’ultima Juve campione d’Europa nel 1996, nella Reggiana e nel Genoa. Non era più un calciatore ma era un dirigente dell’Alessandria. Sognava di continuare la sua carriera nel calcio. Fu accusato di finanziare un’associazione che trafficava droga dal Marocco attraverso la Spagna. Aveva prestato soldi a un amico d’infanzia, ritenuto a capo di un gruppo dedito al narcotraffico. “Non ho mai rinnegato l’amicizia con questa persona e non la rinnego certo adesso – ha spiegato Padovano – Gli feci un prestito in maniera molto tranquilla, perché mi venne motivata: gli servivano soldi per comprare dei cavalli. Noi al processo abbiamo dimostrato che l’acquisto dei cavalli avvenne. Ma sia in tribunale che in appello non siamo stati creduti. Ci sono serviti 17 anni”.
Padovano venne condannato in primo grado a 8 anni e 8 mesi di reclusione, in secondo grado a 6 anni e 8 mesi. A gennaio 2021 la Cassazione aveva annullato la condanna a sei anni e otto mesi e rinviato gli atti a Torino per un nuovo giudizio d’appello. Era stato il gancio cui si era aggrappato il calciatore e su cui aveva lavorato la difesa. Ieri l’assoluzione. “Venni arrestato il 10 maggio 2006 – racconta Padovano, assistito al processo dagli avvocati Michele Galasso e Giacomo Francini -. Un arresto in flagranza, con tre macchine della polizia, nove persone, le manette ai polsi. In quel frangente sinceramente pensai di essere su ‘Scherzi a parte’. Poi col passare dei minuti mi sono reso conto che non era uno scherzo. Mi portarono prima in caserma, poi al carcere di Cuneo, dove stetti per dieci giorni in isolamento. Poi da lì mi trasferirono nel carcere di Bergamo, reparto speciale. Ci sono rimasto altri due mesi e mezzo, per un totale di tre mesi di carcere”.
Dopo il carcere gli arresti domiciliari, dopo i domiciliari l’obbligo di firma in caserma. Oggi Padovano ha 55 anni. Quella carriera da dirigente è saltata, andata in fumo. “La mia carriera è stata distrutta. All’epoca avevo molte proprietà, un lavoro che mi permetteva di essere in rampa di lancio per una carriera importante da dirigente. Ma quando ti succede una cosa del genere ti voltano tutti le spalle. Non colpevolizzo nessuno, anche se io nei confronti di un mio ex collega mi sarei comportato diversamente. È andata così, da oggi mi devo riprendere in mano ciò che mi è stato tolto con tanta forza”. Vuole ritornare e ripartire nel mondo del calcio.
Al quotidiano Padovano ha ricordato il titolo di un giornale che coinvolgeva nella vicenda anche Gianluca Vialli, l’ex Juve e Sampdoria, suo compagno di squadra, recentemente scomparso per un tumore al pancreas. “Ma vi rendete conto? Pazzesco… Provo tanta amarezza, perché era una falsità sotto tutti i punti di vista, come poi è emerso anche a livello processuale. Non c’entravo niente io, figuriamoci Vialli. Lui poi è stato uno dei pochissimi a starmi sempre vicino durante questa vicenda giudiziaria. Di Gianluca ho un ricordo meraviglioso e non c’è giorno in cui io non gli dedichi un pensiero”.
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