La Procura di Roma di Pignatone, - del quale gli annali ricordano un discorso di investitura nella stessa sede dal tratto ben più ruvido persino nei confronti dei suoi pm - si è infatti caratterizzata negli ultimi anni non solo per la spasmodica ricerca di conglomerati mafiosi nel territorio di competenza - con risultati altalenanti, vista la debacle di Mafia Capitale che nessuno ha avuto la maleducazione di ricordare al neoeletto - ma anche per una certa inclinazione al controllo delle attività difensive che il Foro non ha certo gradito, ivi incluso l’utilizzo giudiziario di conversazioni tra avvocati e clienti casualmente intercettato. Furono proprio i penalisti di Roma, per fare un esempio, qualche tempo dopo l’esecuzione delle misure cautelari riguardanti Mafia Capitale, a licenziare un durissimo documento dal significativo titolo Il Diritto di difesa nel mondo di Mezzo nel quale si poteva leggere che «l’esplicazione del mandato difensivo e gli stessi contatti tra clienti ed avvocati» risultavano monitorati e citati nelle informative di quella indagine, ovvero che un avvocato era stato «sottoposto a servizio di osservazione - pedinato si sarebbe detto un tempo» nonostante non fosse mai stato ipotizzato a suo carico nessun atto illecito e neppure deontologicamente scorretto. Una iniziativa della polizia giudiziaria mai censurata dalla Procura, definita “gravissima” dai penalisti. Così come non ha mai ottenuto consensi tra i penalisti romani neppure l’esaltazione mediatica, con contestuale diffusione diretta di atti giudiziari, filmati di arresti inclusi, delle indagini di punta dell’ufficio capitolino. Si pensi alla insistente campagna di stampa di nuovo su Mafia Capitale, con la pubblicazione del video dell’arresto di Carminati e delle conversazioni videoregistrate di Buzzi, oppure alla esecuzione del provvedimento cautelare che recentemente ha colpito una avvocatessa trasmesso praticamente in diretta da una troupe televisiva della trasmissione di Giletti. Pratiche che la legge non permette e che le Procure lasciano correre, a Roma, a Palermo o a Reggio Calabria, non fa differenza, tanto per citare uffici ove Prestipino ha lavorato. Insomma anche il nuovo Procuratore dovrà fare i conti, sempre per citare il datato (ma non sorpassato) documento dei penalisti romani con la “pilotata fuoriuscita quotidiana di parti informative di polizia giudiziaria che raggiungono lo scopo della preventiva distruzione della immagine degli indagati” che a Roma si verifica da anni. Ed allora, se alle parole seguiranno i fatti, come auspicabile, più che alla continuità con il recente passato ci si deve augurare che Michele Prestipino dedichi una parte del suo tempo a modificare comportamenti e pensieri dei suoi dipendenti che contraddicono sia la regola del silenzio che le parole illuminate di Bachelet.