Niente politica
Migranti, 30 anni dopo che un pezzo di Albania arrivò a Bari polemiche, nuovi reati e sanatorie
Siamo fermi. Gli accordi con i paesi di origine aumentano, ma ad aumentare sono anche le atrocità sulla pelle di chi fugge
L’anniversario dello sbarco albanese a Bari è un flash abbagliante, e ci scaraventa in un mondo che non è fatto solo di ricordi. È vero, l’8 agosto 1991 eravamo attoniti nel vedere in tv i calcinacci del Muro di Berlino cadere su di noi. Fino a quel giorno erano state solo stelle. La libertà, la democrazia, la pace perenne. In quel giorno prendevano la forma di gente stipata in ventimila su una nave, con una rabbia di vivere che avevamo visto solo nei film del dopoguerra. Ma alla cartolina da Durazzo si associa qualcosa di molto meno romantico. È il senso di fallimento per gli oltre tre decenni dispersi nel rimpallo di leggi che tiravano la corda in un senso o nell’altro. Aperture e giri di vite, accoglienza e inclusione oppure barriere e rimpatri. Dopo la legge Martelli del 1990 (permesso di soggiorno, quote annuali, lotta all’immigrazione clandestina), la Turco-Napolitano del 1998, la Bossi-Fini del 2002, i decreti Salvini del 2018-19, il decreto Lamorgese del 2020.
Dal 1990 ad oggi il numero degli immigrati è aumentato di dieci volte, da 600mila a 6 milioni, ma la sensazione è di un gioco dell’oca in cui si torna sempre al punto di partenza. O meglio, a dibattiti ideologici alimentati dalla micidiale miscela di buonismo e terrore. Per il primo, ogni ospite del Terzo Mondo è il benvenuto, e si deve chiudere un occhio persino sul furto come regola di vita o sulle vessazioni contro donne e bambini spacciate per tradizione culturale e religiosa. Per il secondo, basta un caso di cronaca, magari deviato da una fake news, per scatenare rigurgiti razzisti, come sta accadendo nel Regno Unito. Stesso flop in Europa. Le più recenti leggi non sembrano scalfire, nella sostanza, i principi di Dublino, secondo cui è il paese di primo ingresso ad essere responsabile della gestione del richiedente asilo. Non c’è bisogno di essere di estrema destra per chiamarlo un colossale scaricabarile.
Intanto, la vita reale dà le sue risposte. E sono tutte in aumento. I flussi irregolari non si sono mai arrestati, né la domanda di ingressi regolari ha mai saputo fermare l’onda: nel 2023, per 82mila posti disponibili, 240mila domande nel click day. Così come il numero di immigrati detenuti, circa un terzo del totale. Così come la richiesta di manodopera del mondo delle imprese, dal lavoro nei campi fino ai tecnici specializzati, agli ingegneri e ai medici. E così come la spietata fotografia demografica: in un’Italia che diventa sempre più vecchia, gli immigrati restano un possibile argine, a patto di superare le fandonie sull’Eurabia o sull’etnia italica in pericolo. Ma il numero più alto che non si decide a calare è quello dei morti nei viaggi della speranza. Si stimano per difetto in 60mila in 10 anni, di cui la metà nel Mediterraneo. E di due terzi non si sa neppure il nome.
Siamo fermi. E gli accordi con i paesi di origine aumentano le atrocità sulla pelle di chi fugge, spesso preso di mira persino dalle polizie dei paesi nordafricani. Siamo fermi. Niente politica, solo polemiche, nuovi reati e sanatorie. “Sugli immigrati la sinistra si è sfracellata”, diceva Martelli alcuni anni fa. E la destra di Salvini ha costruito la sua fortuna. Buonismo e terrore. Trent’anni dopo quei giorni di Bari, quando un pezzo di “Albania povera e colta”, come la definì lo scrittore Sergio Benvenuto su Mondoperaio, veniva a bussare alla nostra porta. Perché a Tirana vedevano i canali Fininvest, si disse, e con loro respiravano anche un po’ dei nostri vizi e dei nostri sogni,
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