Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, e il primo ministro (dimissionario) dei Paesi Bassi Mark Rutte, sono pronti a sbarcare di nuovo a Tunisi per finalizzare il memorandum di intesa con Kais Saied. L’obiettivo è sempre quello. Un patto che abbia da parte tunisina la garanzia che collabori nel fermare il traffico di esseri umani, mentre da parte dell’Europa aiuti finanziari e supporto per sbloccare i prestiti del Fondo Monetario Internazionale.
La partita non è mai stata semplice. Eppure, un primo spiraglio sembra aprirsi, complice la necessità di sbloccare le trattative per la convergenza di due problemi: la perdurante crisi economica della Tunisia e la necessità per l’Italia e l’Unione europea di porre un freno ai flussi migratori irregolari dal Nord Africa. Il tempo è tiranno, e lo è tanto per Tunisi quanto per Roma. Saied sa di dover fare i conti con un Paese pericolosamente vicino al collasso finanziario. Una crisi che, come ricordano gli esperti, dura da almeno dieci anni e fa sì che la Tunisia abbia urgente necessità di investimenti esteri e di liquidità.
I soldi dell’Europa e del Fmi servono come una boccata d’ossigeno sia per risanare le casse sia per gestire un flusso di migranti che Tunisi non riesce a controllare. Lo dimostra quanto accaduto in questi giorni ai confini con la Libia, ma anche quanto accade quotidianamente a Sfax, dove iniziano a vedersi i primi segni di rabbia e violenza contro i migranti da parte delle frange nazionaliste. L’Italia, dal canto suo, ha bisogno di questo accordo e del placet di Saied.
Per Meloni è essenziale fermare le partenze dal Nord Africa. E se la Libia resta un enorme punto interrogativo funestato dall’anarchia militare, la Tunisia rappresenta un interlocutore quantomeno definito. Da una parte, per Meloni ne va di uno dei principali cavalli di battaglia del centrodestra: l’interruzione o quantomeno la riduzione dei flussi irregolari. Cosa non accaduta di certo in questi mesi, dal momento che, per fattori certamente convergenti e non tutti gestibili, in Nord Africa e in Sahel si assiste a un aumento significativo dei traffici di esseri umani parallelamente all’esplosione della rotta tunisina.
I dati dell’agenzia Frontex sono cristallini. “Gli arrivi su tutte le altre rotte migratorie hanno registrato un calo rispetto all’anno precedente, che va dal -6% sul Mediterraneo occidentale al -34% sulla rotta del Mediterraneo orientale” si legge nel bollettino pubblicato dall’agenzia europea. Ma soltanto a giugno, “i contrabbandieri hanno intensificato le loro attività, provocando un aumento dell’85% degli arrivi nel Mediterraneo centrale” con il rischio anche di una sfida tra reti criminali. Dall’altra parte, per il governo italiano c’è anche un tema di ordine europeo.
Meloni deve certificare che l’Italia ha avuto un peso nel trovare un accordo con un Paese di transito come la Tunisia, cardine della frontiera esterna dell’Unione europea. E deve soprattutto far vedere che Roma arriva prima di altri partner nel “mettere il cappello” sull’accordo con Saied.
La visita a Tunisi del ministro dell’Interno francese Gerard Darmanin e dell’omologa tedesca Nancy Faeser pochi giorni dopo il primo viaggio del trio Meloni–Rutte–Von der Leyen aveva già fatto scattare l’allarme per un possibile “scippo” franco-tedesco del dossier tunisino. Uno smacco per il governo italiano, impegnato nel perorare la centralità di Roma nello scacchiere mediterraneo e africano, anche se spesso declinata nell’ambizioso per quanto ancora più che fumoso cosiddetto “Piano Mattei”.
Il vicepresidente della Commissione Ue, Margaritis Schinas, ha effettivamente dato il merito a Palazzo Chigi dell’accordo, ricordando che “l’Italia ha dato un enorme contributo, per il quale le siamo grati”. Un segnale di fiducia che non va sottovalutato, ma che ora attende due “prove del nove”: Tunisi e l’accordo sui migranti, che Bruxelles vorrebbe siglare entro la fine dell’anno.