Se non si trattasse di un dramma che coinvolge migliaia di persone, ci resterebbe solo da osservare con una certa benevolenza le discussioni che imperversano un po’ in tutta Italia sul tema ormai ricorrente dell’emergenza migranti. Emergenza che tale non è, come noi sindaci di ogni colore politico andiamo ripetendo da un decennio. Emergenza è stata l’Afghanistan, lo è l’Ucraina, con lo scoppio improvviso di un conflitto. Il resto è previsto e prevedibile. Donne e uomini si spostano in cerca di condizioni di vita migliori da sempre e lo fanno mettendo a rischio la propria vita, dato che ancora in Italia non esiste un modo regolare per arrivare da migrante economico semplicemente con un volo aereo, meno pericoloso e costoso di una traversata via mare o via terra. E così torna irrimediabilmente il problema della gestione degli arrivi, degli sbarchi, dei controlli e di un mancato coordinamento tra il sistema centrale e i territori. Vanno trovate regole certe di ingresso, regolamentati e contingentati i flussi, perché non possiamo continuare, come fatto fino ad ora, senza una gestione e una programmazione da parte dello Stato.

Diciamocelo chiaramente, quello dell’immigrazione è un tema che non piace a nessuno dover affrontare perché non crea consenso ed è solo una grande bega, soprattutto in un Paese che ha sempre una scadenza elettorale alle porte. Che si considerino l’accoglienza e l’inclusione grandi opportunità o terribili disgrazie, resta un dato di fatto: ogni anno in Italia arrivano circa 150mila persone, un dato che nel 2023 supereremo abbondantemente posto che da gennaio a oggi sono arrivate già 80mila persone.
Come dipartimento immigrazione di Anci negli ultimi dieci anni abbiamo avanzato proposte e posto problemi da risolvere a sei diversi governi, di sinistra, di destra, tecnici. Serve il coraggio di riformare alcuni punti.

Innanzitutto va risolta la questione fondamentale: superare il Testo Unico sull’immigrazione, quella famosa legge Bossi-Fini che proprio uno dei suoi padri, Gianfranco Fini, ha definito “datata” e quindi da cambiare. Una norma che risale al 2002, lo stesso anno del passaggio dalla lira all’euro o del lancio sul mercato del Nokia 7650, tanto per dare un’idea. Gestiamo uno degli eventi più cruciali dell’oggi con una norma vecchia di oltre vent’anni, e già questo basta per capire quanto sia inadeguata, senza entrare nei giudizi di merito. I migranti economici esistono, spostarsi per cercare condizioni di vita migliori è un diritto, far entrare legalmente con un sistema regolamentato le persone avrebbe evitato Cutro e tante altre stragi. Cambiare quella legge è urgente per affrontare le caratteristiche del fenomeno migratorio, considerando anche l’attuale mercato del lavoro dove la domanda di personale straniero è ben più alta di quella garantita dai decreti flussi. Le azioni proposte dai sindaci sono molto pratiche. Solo alcuni esempi: ripristinare il sistema dello sponsor e istituire il permesso per ricerca di lavoro, snellire il rilascio del permesso di soggiorno, prevedere formazione linguistica, lavorativa e di educazione civica costante. Gli interventi più incisivi sono l’adozione dello sponsor, che prevede la prestazione di garanzia per l’accesso al lavoro anche da parte dei privati, agevolando quanti abbiano già avuto precedenti esperienze lavorative in Italia o abbiano frequentato corsi di lingua italiana o formazione professionale; l’istituzione del permesso di soggiorno temporaneo consentirebbe la ricerca di lavoro da parte di stranieri, il cui ingresso è intermediato da soggetti autorizzati.

Serve un coordinamento nazionale, composto da Ministero, enti locali e terzo settore. I progetti dedicati al sistema di accoglienza devono diventare sempre di più un arricchimento del sistema di welfare degli enti locali: i Comuni che aderiscono al sistema Sai devono poter ampliare con personale e finanziamenti dedicati la loro offerta dei servizi sociali, coinvolgendo il territorio. Un esempio semplice, ma significativo: se un Comune attiva il servizio scuolabus per i bambini in accoglienza nel Sai, utilizzerà quel servizio per tutti i bambini del suo territorio ampliando l’offerta di fatto per tutta la comunità.

Ai Comuni che accolgono devono essere riconosciute maggiori strumenti, personale e risorse. Perché ogni persona che è sul territorio, regolare o meno, è di fatto un cittadino in carico a quel Comune. E solo chi governa il territorio può avere la forza capillare di gestire la propria comunità: ai Comuni quindi deve essere data la competenza del rinnovo dei permessi di soggiorno e il personale per farlo, oltre a più risorse per i servizi sociali e per i mediatori culturali e linguistici nelle scuole. Obiettivo del sistema è rendere residuale il sistema di accoglienza straordinario delle prefetture, rendendo centrale il sistema di accoglienza diffuso dei Comuni attraverso professionisti specializzati.

Accoglienza non significa solo un tetto e un piatto caldo, come sta accadendo ora nei centri di accoglienza straordinari. Questi bandi non vanno deserti per caso, grandi associazioni come la Caritas o l’Arci si rifiutano giustamente di fare gli albergatori. Parcheggiare per anni le persone in grandi stabili, senza un corso di lingua o una formazione lavoro, senza tempi certi sui permessi di soggiorno, vuol dire costruire scientemente una bomba sociale che può scoppiare da un momento all’altro. Significa portare disagio alle comunità che accolgono. Capisco che stanziare risorse per temi scomodi non faccia piacere, ma non farlo è ipocrita, perché significa solo aumentare le file dei fantasmi, delle occupazioni abusive, della manovalanza per la criminalità organizzata. L’Università di Roma Tre ha ospitato solo martedì scorso l’incontro tra amministratori locali e oltre 1000 operatori dell’accoglienza: professionisti che devono essere riconosciuti con una certificazione della loro competenza, donne e uomini che meritano un maggiore investimento sulla formazione continua e la creazione di un albo, scambio di buone pratiche con l’Erasmus Sai. Tutte richieste che arrivano direttamente da chi ogni giorno lavorano nel settore.

Resta poi il nodo della forte presenza di stranieri irregolari sui nostri territori. Chi non ha titolo di soggiorno è un fantasma che nessun Comune può aiutare, persone destinate a lavorare a nero o a diventare manovalanza della criminalità. Nessun Governo, nemmeno quello di Salvini e Meloni, ha la forza di rimpatriare tutti. Anzi, spesso neanche chi delinque. Bisogna rimpatriare chi è stato condannato in via definitiva per reati penali gravi, magari recidivi, e prevedere l’emersione e la regolarizzazione subordinata a specifici requisiti per gli altri. Si parla di persone che vivono di fatto nelle nostre comunità ma che in uno stato di clandestinità non potranno mai integrarsi, mentre possono essere inclusi con la conoscenza della lingua, la disponibilità di un contratto di lavoro subordinato o un permesso di soggiorno a partire da motivi legati al lavoro stagionale, per esempio in agricoltura. Si deve investire di più sul ritorno volontario assistito, dando questa competenza ai servizi sociali dei Comuni e alle associazioni del terzo settore che più di altri possono intercettare il bisogno della persona al momento opportuno.

Infine il tema dei temi, quello che non dovrebbe far dormire la notte: i minori stranieri non accompagnati. Bambini e ragazzini che si spostano da una città all’altra spesso fuggendo dai centri di accoglienza, non lasciando traccia, solo per l’incapacità del nostro sistema di intervenire come si dovrebbe. Davanti al destino di uno solo di questi ragazzi non possiamo pensare al consenso e ai voti, ma dobbiamo assumerci le nostre responsabilità. Da mesi i Comuni chiedono al Governo la creazione di specifici hub di primissima accoglienza pensati e dedicati ai minori, l’ampliamento dei posti Sai a disposizione, soprattutto nelle città del centro Nord che sono in maggiore difficoltà, un nuovo sistema efficace di accertamento dell’età e la prosecuzione dei progetti per almeno sei mesi al compimento dei 18 anni per dare una maggiore autonomia ai ragazzi accolti. E, senza entrare nello specifico, ricordo la necessità di una nuova legge che modifichi in maniera radicale le norme sulla cittadinanza. Per l’emergenza Ucraina è stata sperimentata l’accoglienza in famiglia, una soluzione che in qualche caso potrebbe essere efficace per i minori anche provenienti da altre realtà e sui cui si può provare ad investire. Si potrebbe andare avanti ancora a lungo, ma questi sono gli interventi che si dovrebbero fare subito.

Serve una presa di coscienza, urgentemente. Slogan come lo stop agli sbarchi e rimandiamoli a casa loro, promettere interventi impossibili, la mancanza di forza e coraggio per cambiare il Testo Unico dell’immigrazione, un esasperato utilizzo della decretazione d’urgenza invece di una seria programmazione, ha reso la situazione sempre più incandescente. Credo che sia l’ora di smettere di parlare di emergenza migranti e affrontare una volta per tutte un fenomeno complesso e ordinario. Per farlo con serietà chi governa deve ascoltare sindaci e operatori dell’accoglienza, chi ogni giorno lavora nelle comunità e affronta i problemi sociali di persone che non sono numeri, ma donne, uomini e bambini con un passato spesso difficile e il diritto di scegliere il Paese in cui scommettere il proprio futuro, legalmente e con i giusti strumenti per diventare cittadini delle comunità che li accolgono.

Matteo Biffoni

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