Siria, l’Europa ai piedi del “Gendarme” turco. La guerra a Idlib, nel nord della Siria, tra le armate turche e l’esercito siriano lealista non ha soluzione di continuità. I morti e feriti, nei due campi, si contano ormai a centinaia. Il “Sultano” di Ankara, è schierato con le milizie sunnite siriane nella zona di Idlib, dove vivono tre milioni e mezzo di oppositori al regime di Assad. Tra loro jihadisti radicalizzati da 9 anni di guerra, repressione e morte. Un milione stanno cercando di scappare in Turchia. Ma qui vivono già 3 milioni e 700mila profughi. Erdogan non ne vuole altri. Così li lascia partire verso la Grecia. E ciò nonostante nel 2016 abbia promesso di tenerli in Turchia in cambio di 6 miliardi di euro pagati dall’Europa. Dopo l’uccisione di 34 soldati turchi avvenuta la settimana scorsa al confine tra Siria e Turchia, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, lamentando un mancato appoggio europeo, ha deciso di aprire le frontiere e lasciar passare le centinaia di migliaia di profughi siriani verso l’Europa.
«Da quando abbiamo aperto i nostri confini è aumentato il numero di migranti diretti in Europa. Presto saranno milioni», ha detto minaccioso Erdogan in un discorso a membri del suo partito (Akp) ad Ankara. «L’Europa credeva che stessimo bleffando, ma quando abbiamo aperto le porte i telefoni hanno ricominciato a squillare», ha aggiunto. E fonti che arrivano da Bruxelles parlano già di nuovi aiuti finanziari promessi alla Turchia. Un portavoce della Commissione Europea ha precisato, comunque, che venerdì c’è stato un primo contatto telefonico tra la presidente della Commissione Ursula Von Der Leyen e il presidente Erdogan: «Ci atteniamo all’accordo Ue-Turchia su profughi e migranti e ci aspettiamo che Ankara onori i suoi impegni». Ma il “Sultano” imbraccia l’ “arma” dei migranti per alzare la voce e il prezzo del ricatto: «Sono tornati a chiedermi un vertice a 4 o a 5 – si fa vanto Erdogan-. Il 5 marzo andrò a Mosca dove con Putin valuteremo la situazione. Mi auguro che un vertice porti a un cessate il fuoco o che vengano fatti altri passi e che si arrivi a risultati concreti».
In questo scenario di guerra e di ricatti, circa 80mila profughi sono già in cammino via mare o via terra verso il Paese europeo più vicino, la Grecia che ora versa in stato di massima allerta di fronte al flusso di umanità che arriva dalla Turchia. In tali circostanze non mancano tragedie e violenze. Un bambino è morto durante il tentativo di sbarco di un gruppo di migranti a Mitilini (isola di Lesbo, Grecia). Secondo il sito cnn.gr, il barcone – partito dalla vicina costa turca – si è ribaltato quando è stato avvicinato da un’unità della Guardia Costiera greca. Secondo quest’ultima, 46 persone sono state salvate. Il cadavere del bambino è stato rinvenuto poco dopo. Nella notte 5 barche sono giunte sull’isola, due sono arrivate a Chios e altre due a Samos. Intanto si segnalano violenze, insulti e botte contro gli sbarchi: nel mirino giornalisti e fotoreporter, personale dell’Unhcr e polizia aggrediti da gruppi di abitanti di Lesbo. Decine di persone hanno impedito uno sbarco di migranti – tra cui alcuni bambini – da un gommone nella località di Thermi, e dato alle fiamme anche un centro d’accoglienza in disuso.
Circa 11mila migranti che erano già al confine hanno trascorso la notte al freddo, accendendo dei fuochi per riscaldarsi. Intanto oggi i presidenti di Commissione Ue, Eurocamera e Consiglio europeo, Ursula von der Leyen, David Sassoli e Charles Michel saranno alla frontiera terrestre tra Grecia e Turchia con il premier greco Kyriakos Mitsotakis. Lo ha annunciato lo stesso Mitsotakis su Twitter, commentando: «Un’importante manifestazione di sostegno da parte delle tre istituzioni, in un momento in cui la Grecia sta difendendo le frontiere Ue con successo». L’Organizzazione internazionale per le Migrazioni (Oim) stima che al confine si trovino oltre 13mila profughi. La Turchia ospita 3,6 milioni di profughi e negli ultimi anni il numero di afghani che è entrato nel Paese è salito vertiginosamente. L’Europa chiede il rispetto degli impegni, intanto è in ginocchio dal “Gendarme” delle sue frontiere esterne.
«Un’Europa dell’odio, dell’uno contro uno, del razzismo e della violenza, incapace di riconoscere le strumentalizzazioni politiche della Turchia nei confronti dell’Unione Europea sulla pelle di migliaia di donne e uomini disperati fuggiti da guerre, persecuzioni e miserie sta andando in scena in Grecia ed è già costata la vita a un bimbo morto annegato nel tentativo di sbarcare a Lesbo». Ad affermarlo è Antonella Veltri, presidente di D.i.Re, Donne in rete contro la violenza, la rete nazionale dei centri antiviolenza. «Pretendiamo il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali», prosegue Veltri. I valori sui quali abbiamo fondato la nostra convivenza civile sono quelli dell’accoglienza e del rispetto di tutte e tutti». «Tra le persone in arrivo dalla Turchia ci sono centinaia di donne sopravvissute a incredibili violenze e deprivazioni, centinaia di bambini e bambine privati dell’infanzia, centinaia di famiglie allo stremo», le fa eco Mariangela Zanni, consigliera D.i.Re per il Veneto.
«Facciamo appello alla calma – dice a Il Riformista Carlotta Sami, portavoce dell’UNHCR per il Sud Europa in Italia -: è necessario che le tensioni al confine fra Turchia e UE si allentino. Gli Stati hanno il diritto di controllare le proprie frontiere e di gestire i movimenti irregolari, ma allo stesso tempo devono astenersi dall’uso di una forza eccessiva o sproporzionata e mantenere sistemi per gestire le richieste di asilo in modo ordinato. È importante quindi che le autorità si astengano da qualsiasi misura che possa aumentare le sofferenze delle persone vulnerabili. Ci sono donne, bambini e famiglie che arrivano al confine in condizioni precarie. In collaborazione con i nostri partner locali e con le altre agenzie delle Nazioni Unite, stiamo fornendo assistenza umanitaria a chi ne ha più bisogno. Quello che sta succedendo al confine fra Turchia e Grecia è preoccupante, mentre è emergenza umanitaria ad Idlib, nel nord-ovest della Siria, dove 950mila sfollati hanno urgente bisogno di aiuti». E in una nota ufficiale, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati ricorda che «né la Convenzione del 1951 sullo status dei rifugiati, né le leggi dell’Ue rappresentano una base legale per sospendere le domande di asilo».