Kalamata, Grecia. Un’altra strage. Probabilmente la peggiore che il Mar Mediterraneo abbia mai visto. Probabilmente con il mare calmo. Il consueto e tragico rituale della conta dei cadaveri e dei dispersi, delle testimonianze di chi è miracolosamente sopravvissuto, delle lacrime e della disperazione di chi non ha più notizie di figli, di moglie o marito o di amici con cui fino a poche ore prima condivideva paure e speranze. Il consueto e squallido rituale del rimbalzo delle responsabilità, del volgersi dall’altra parte, del «non toccava a noi», del «non sapevamo niente». Scene che abbiamo già visto tante volte, alle quali ci siamo disumanamente quasi assuefatti: qualche titolo sui giornali, qualche servizio alla tv, qualche ora di emozione e poi tutto torna come prima, in attesa di un’ennesima carneficina.

È difficile trovare delle soluzioni al problema ormai planetario della migrazione, ma non è più accettabile restare con le mani in mano o puntare esclusivamente su velleitari accordi con qualche inaffidabile governante di Paesi che sul tema dei migranti stanno attuando opportunistiche strategie. E sicuramente non è sufficiente lavarsi la coscienza annunciando che gli scafisti sono stati arrestati.

Certo, chi si presta ad un lavoro tanto sporco e ignobile va punito con la massima severità, ma le menti, i cervelli che organizzano e lucrano sui viaggi della morte sono altrove, magari in eleganti uffici pronti a reinvestire in apparentemente rispettabili operazioni finanziarie gli enormi profitti di questo traffico. L’Europa deve cercarli, deve stanarli a tutti i costi, con l’aiuto di una task force internazionale, che possa utilizzare tutte le più moderne tecniche investigative e che abbia mezzi e risorse all’altezza. Ma dobbiamo anche avere la volontà ed il coraggio di provare a risolvere il problema alla radice, eliminando o almeno tentando di limitare il flusso dei disperati che salgono sui barconi alla ricerca di un futuro migliore con la piena consapevolezza di rischiare la vita.

L’esperienza delle quote potrebbe essere una discreta base di partenza ma servono strategie precise. Fissiamo per ogni Paese europeo un numero massimo di migranti da accogliere temporaneamente ogni anno e permettiamogli innanzitutto di arrivare con mezzi sicuri, senza rischiare di morire affogati e senza dover versare agli scafisti i risparmi di una vita. Viaggi organizzati con costi minimi, in base alle quote che saranno gestite con le Ambasciate, per arrivare in Europa, frequentare corsi professionali ed imparare a diventare dei cittadini. Cercano una vita migliore e la base per una vita migliore è l’istruzione, è imparare un mestiere. Aiutiamoli a diventare delle risorse per il loro Paese ma anche per il nostro facendogli frequentare un corso professionale che in tempi brevi li possa trasformare in apprendisti panettieri, muratori, piastrellisti, meccanici e che li faccia ritornare in Patria, quando sarà terminato il loro periodo di accoglienza (6 mesi) con una competenza professionale e magari una piccola cifra che gli consenta di avviare un’attività lavorativa, contribuendo così a far crescere l’economia dei loro Paesi di origine.

E se le competenze acquisite servono anche all’Italia, diamogli la possibilità di restare e di contribuire alla crescita della nostra Nazione. Ma facciamogli anche frequentare un corso di educazione civica, che gli permetta di capire quali sono le basi e i valori su cui si fonda una Nazione libera e democratica, una conoscenza importante da trasferire nei loro Paesi, un seme che magari in futuro potrebbe germogliare e farli diventare, oltre che imprenditori, amministratori pubblici, Sindaci, Assessori o Consiglieri comunali nelle loro città. Sarebbe sicuramente un modo più produttivo di spendere le tante risorse che l’Unione Europea destina ogni anno al tema della migrazione. Arrivo addirittura a pensare che questi migranti potrebbero essere accolti pro quota nelle nostre città e paesi, in modo che siano distribuiti capillarmente sul territorio, evitando di creare ghetti o tensioni sociali. Oppure, altra ipotesi, la loro presenza potrebbe essere utile per ridare forza e vigore a tante comunità oggi spopolate, vittime delle fughe dei giovani verso territori che offrono migliori opportunità di vita o di lavoro.

Nell’Ambito del Ministero dell’Istruzione, un Dipartimento per l’Educazione dei Migranti potrebbe organizzare corsi professionali e sicuramente non mancherebbe qualche imprenditore o qualche artigiano disponibile ad offrire qualche ora di “pratica sul campo”. Un progetto impossibile ed utopistico? No, un progetto certamente difficile per mille motivi, sociali, organizzativi, economici che richiederebbe un immenso sforzo e sacrificio, ma un’idea, un primo passo, verso una gestione responsabile, produttiva ed equilibrata del fenomeno migratorio.

Gianfranco Librandi

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