Da tempo una iniziativa di riflessione politico-culturale non riscuoteva tanta attenzione come in questi giorni le due iniziative dei cattolici a Milano e di Libertà eguale a Orvieto.

La prima riflessione è che, a quanto pare, c’è un vuoto da riempire, un bisogno insoddisfatto, come molti hanno rilevato, anzitutto Prodi, ma anche Zanda e diversi giornalisti. Il bisogno in questione non è facilmente etichettabile come bisogno di centro, questa eterna araba fenice che continuamente appare e scompare, illude e delude, nella scena politica italiana. I cattolici che, guidati da Delrio, si riuniscono nell’anniversario della fondazione del Partito popolare di Sturzo, sembrano collocarsi decisamente nel campo della sinistra, anche se il richiamo all’identità cattolica non esclude differenze significative su temi essenziali come la guerra e la pace.

Libertà eguale è un’associazione che ha 25 anni di vita, e che ogni anno riunisce a Orvieto la sua assemblea, discutendo le questioni di cultura politica della sinistra. In questa associazione ci sono molti cattolici, così come ex comunisti, socialisti o persone di altra provenienza. Il legame che unisce gli uomini e le donne di Libertà eguale non sono le passate appartenenze, né una affiliazione culturale o religiosa, ma la scelta riformista e l’impegno politico conseguente. Anche se in prevalenza si tratta di aderenti al Partito democratico, l’associazione non intende essere una corrente di partito, ma un luogo di raccolta e di discussione per tutti i riformisti.

Per noi di Libertà eguale il problema del centro si pone, dunque, ma nel senso che la sinistra deve essere centrosinistra, cioè uscire da una base sociale ristretta per elaborare una proposta politica che si rivolga a tutti, mettendo insieme crescita e protezione, meriti e bisogni, com’è stato detto già molto tempo fa. Non pensiamo, insomma, a un centro-sinistra col trattino, ma a una sinistra autenticamente riformista e perciò di governo. Se poi si costituisse un’area moderata al centro, cosa che oggi appare abbastanza difficile, sarebbe certamente utile, ma in un quadro di alleanze definite e non di una alternativa alla destra e alla sinistra o addirittura di uno spregiudicato opportunismo. Basti vedere come funziona bene il centro del centrodestra.

Dunque il vuoto che si sente non è mancanza di centro ma mancanza di dibattito pubblico, a partire dagli stessi organismi del Pd. Le due iniziative del 18 prossimo si collegano idealmente, pur essendo diverse, per la comune intenzione di aprire il più possibile l’interlocuzione politica, e di dare un luogo ospitale a persone che possono dare un grande contributo, come Ruffini e Gentiloni, per fare i nomi che hanno risvegliato di più la curiosità, ma insieme a loro tanti altri. Riprendere la discussione politica, che coinvolga anche forze esterne, è vitale per riguadagnare credibilità e quindi consenso: cioè per mettere il centrosinistra nelle condizioni di vincere le elezioni e, poi, di governare.

Ma è vitale anche per dare alla coalizione che si presenterà alle elezioni un profilo comune, al di là del meccanico stare insieme. Il campo del centrosinistra è oggi presidiato da un Pd indubbiamente in buona salute ma ben lontano dal poter vincere da solo. Allearsi è giusto e necessario, ma non serve coltivare, come troppo spesso fa l’attuale dirigenza del Pd, ambiguità su temi importanti, dalla politica estera alle politiche redistributive, dalle politiche industriali a quelle delle infrastrutture, nell’illusione che così si renda più facile l’alleanza. Il rischio, come abbiamo già visto nel caso del secondo governo Prodi, è che una coalizione messa su solo per vincere, poi – ammesso che vinca – si sfasci davanti alle scelte politiche.

Questa ambiguità, questa indeterminatezza, diventano ogni giorno più gravi, mentre il mondo intorno a noi si fa sempre più disordinato e ci chiede di prendere posizioni chiare. Per esempio sulla questione dei satelliti di Musk. Al discorso, apparentemente moderato, della premier, che dice di essere incerta, cosa risponde l’opposizione? Non basta rispondere con furia antitecnologica né con l’accusa di cedimento all’amico americano. Bisogna saper distinguere tra le follie personali di Musk e le sue aziende, che però richiedono seri controlli e regole. E bisogna praticare un europeismo non solo retorico, che sappia capire che l’Europa non può limitarsi all’attività regolatoria, pur necessaria, ma deve anche mettere in campo suoi strumenti tecnologici in grado di competere con quelli dei Big Tech. E potremmo parlare dell’automotive e della questione ecologica, e di tanti altri problemi giganteschi come questi. L’opposizione deve darsi una sveglia, ed elaborare proposte serie. Questo credo che il senso dei due appuntamenti del 18.