L'intervista
Milano sostenibile, Rascaroli: “Dobbiamo ripensare il suolo partendo dalle fonti energetiche. Serve una visione policentrica: le grandi aree dismesse sono grandi occasioni”
Sono molti gli impegni che chi amministra Milano, intesa come unica metropoli italiana, si assume per cercare di renderla sempre più sostenibile. Dalle piste ciclabili alle aree verdi, al Piano Aria. Ogni volta però sembra che fatichino a diventare un vero progetto, che magari vanno anche a scontrarsi con delle realtà di vita urbana che mal si conciliano con questi interventi. E la percezione è che non si riesca a dare corpo ad una visione.
Allora la domanda è: è così difficile immaginare una metropoli sostenibile?
«Innanzitutto diciamo che non è il problema di Milano, che semmai rappresenta comunque un’avanguardia. È un problema più generale italiano. Penso che sia una questione di esperienza. Il tema ecologico, della sostenibilità ha preso forza e vigore quando siamo diventati una società post industriale e nelle città, nei grandi agglomerati urbani, si sono in qualche modo liberate aree veramente estese che offrivano potenziali spazi per un necessario ripensamento generale delle città. Numerosi paesi europei hanno avviato una sperimentazione a partire dagli anni ’90. Su questa fondamentale esperienza, su questi veri e propri laboratori, sono cresciute delle competenze. Attenzione, non sono tanto competenze individuali: i tecnici del Comune di Milano, come quelli della provincia e ancora quelli della regione, sono persone molto preparate. Il problema è la visione strategica, la pianificazione e l’interrelazione».
Mi faccia far atterrare il discorso. Ci sono dei provvedimenti che appaiono obbligatori e in effetti lo sono: le piste ciclabili, l’abbattimento delle emissioni inquinanti, l’ampliamento delle aree verdi, le aree b, c… Mi dice che il problema è che non fanno parte di un disegno coerente?
«Noi riusciamo a ragionare solo in termini di singolo progetto. È chiaro che la parola d’ordine oggi, qualunque operazione venga eseguita sul territorio, è “sostenibilità”. Però la sostenibilità vera è fatta di interrelazione tra provvedimenti; manca a monte una pianificazione urbanistica che utilizzi “ferri del mestiere” più nuovi e più adatti a mettere in relazione le azioni, e quindi permetta di raggiungere dei risultati significativi e percepibili».
Quanto conta nella possibilità di renderla metropoli sostenibile il suo tessuto economico, produttivo? Voglio dire, se noi abbiamo un centro della metropoli pieno di uffici e pieno di esercizi commerciali…
«La grande occasione delle città postindustriali è proprio il fatto che si liberano non solo aree molto grandi, ma addirittura dei potenziali collegamenti molto estesi. E riutilizzarli per riformare un disegno urbano. Pensi alle grandi aree dismesse delle ex stazioni, pensi al tracciato ferroviario che univa queste stazioni, pensi ai grandi comparti ex industriali dismessi. È necessario cogliere le occasioni per ripensare Milano con una visione più policentrica. Esistono pianificazioni che dicono che in ogni area su un raggio di 800 metri ci dovrebbe essere una centralità. La misura dei 15 minuti a piedi».
Senta, visto che parliamo di tempo, le lancio una provocazione: e se immaginassimo una metropoli che vive secondo differenti fasce orarie? Voglio dire, anche la sostenibilità ambientale potrebbe essere forse supportata da un ripensamento dell’organizzazione temporale della città?
«Ha senso e non solo come provocazione. Certo, esiste lo spazio ed esiste anche il tempo. I PTO comunali cercano di andare in questa direzione; oltre ai 15 minuti e la prossimità, un altro obiettivo è rendere flessibili e desincronizzati gli orari di attività e servizi pubblici».
Concludendo, mi lanci lei un’idea, una suggestione, per poter immaginare meglio la metropoli sostenibile.
«Associare la pianificazione urbanistica a quella energetica. Ad esempio, ripensare il suolo, partendo dallo sfruttamento delle fonti energetiche, come il geotermico distribuito con il teleriscaldamento, con un progetto di suolo complessivo che si riflette anche sullo spazio pubblico in superficie, dove entrano l’acqua, il verde, la mobilità dolce, e si offrono paesaggi urbani per la socialità. A Copenaghen, anni fa, i vari uffici che si occupavano strutturalmente delle piste ciclabili, del verde, dell’acqua, del teleriscaldamento, erano coordinati dall’ufficio preposto al design urbano».
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