Lui ha messo le mani avanti e non da ieri “se domenica, domani, non fossi eletto allora vorrebbe dire che la più grande frode elettorale ha strappato alla nazione Argentina il suo vero presidente”. Si chiama Javier Milei e si è già presentato alle elezioni primarie raccogliendo il 55%, tanto che il suo antagonista di sinistra, Sergio Massa, ha già ammesso di aver perso.
Domenica finirà lo spoglio del ballottaggio e il risultato appare scontato, ma Milei – alla maniera di Trump e poi di Bolsonaro in Brasile – fa continuamente riferimento a forze oscure che rubano centinaia di migliaia di schede.

Il profilo

È un cinquantenne definito come un campione dell’estrema destra ma il suo programma non corrisponde esattamente agli standard che usiamo in Europa. Semmai somiglia a Donald Trump, che lo appoggia con entusiasmo e all’ex Presidente del Brasile, Jair Bolsonaro. Negli Stati Uniti c’è molta preoccupazione in campo democratico perché una vittoria di Milei in Argentina rafforzerebbe la posizione di Trump con cui l’argentino condivide molte idee. La più clamorosa è quella di chiudere la Banca d’Argentina e mandare al macero il Peso arruolando il dollaro americano come moneta nazionale, operazione è già tentata in Argentina, perennemente tartassato da un’inflazione che cambia i prezzi della vita quotidiana ogni giorno: “Se il dollaro sarà anche la nostra moneta vivremo con la stessa stabilità americana”. La sua posizione è secondo il lessico americano “libertario capitalista”. Una sua collaboratrice spiega in televisione: “Gli argentini pensano che il denaro cresca sugli alberi e credono che possa essere soltanto rubato, sequestrato e dato ad altri”.

Milei, hombre fuerte

Le folle dei suoi sostenitori – secondo la stampa argentina e quella americana che segue con apprensione la parabola di Milei – sono in parte convinte delle sue idee, ma per lo più sperano che finalmente un hombre fuerte possa mettere ordine in un Paese che da decenni soffre perché vanta un passato molto lontano in cui l’Argentina era uno dei Paesi più ricchi e prestigiosi del mondo. Ma l’avventura del dittatore populista Juan Domingo Peron negli anni cinquanta e sessanta con i suoi “descamisados” per metà fascisti e per metà rivoluzionari ha lasciato una traccia di terrorismo quello dei Tupamaros, e la memoria di un modo di governare spettacolare come quello della sua vedova Evita Peron che regalava case e terreni a chiunque. E poi l’Argentina è stata piegata dalla dittatura della giunta guidata dal generale Videla, ancora più feroce di quella cilena dal generale Augusto Pinochet. Fu la piaga dei desaparecidos, giovani che scomparivano, facendoli precipitare in aereo nell’oceano o nel Rio de la Plata. Le madri degli scomparsi raccolte con le candele accese in Plaza de Mayo sono un ricordo ancora terribile e vivo. L’Argentina fu liberata dai suoi aguzzini quando i generali sfidarono l’Inghilterra della Thatcher invadendo le isole oceaniche inglesi abitate da inglesi e chiamate Falkland, e che gli argentini hanno sempre considerato loro chiamandole Malvinas.

La formula

Fu una guerra di mare breve e brutale in cui gli argentini colarono a picco con l’incrociatore Belgrano o fuggirono in massa. La disfatta, come era accaduto alla giunta greca di Papadopulos nel 1973 dopo un breve e perdente scontro con la Turchia, cadde e l’Argentina recuperò una democrazia ormai dilaniata e poco amata, mentre l’economia andava a rotoli con tempeste d’inflazione che rendevano un incubo la vita comica degli argentini. Da allora populisti visionari, comunisti rivoluzionari, nostalgici di Peron e del fascismo (l’Argentina, abitata da discendenti di italiani per circa la metà, fu il rifugio di tutti i gerarchi fascisti e nazisti sfuggiti ai processi e fu anche il rifugio del pianificatore dei campi di sterminio Adolf Eichmann rapito dai servizi segreti israeliani che lo sottoposero a un lungo processo concluso con la sua impiccagione, l’unica esecuzione giudiziaria dello Stato di Israele). L’Argentina da decenni è alla ricerca di una formula magica che la riporti al suo passato di grande potenza economica e commerciale.

Javier Milei è considerato d’estrema destra per la sua politica fondata sui complotti, sulla famelicità e dei politici che rubano tutto il denaro cresciuto sugli alberi. Lui stesso chiama a testimoni Trump e Bolsonaro i quali gli rispondono con festosa solidarietà, sicché l’Argentina di Milei si appresta a diventare un Paese nazional complottista che vede nella democrazia soltanto corruzione e furti. Da due mesi Milei grida ai quattro venti che le elezioni che ha vinto sono state comunque truccate perché sarebbero sparite centinaia di migliaia di suoi voti. È stato un personaggio televisivo importante, esattamente come Trump e ha fondato la sua politica sulla popolarità televisiva derivata da una retorica molto urlata e sempre nutrita da accuse non provate ma di grande suggestione, tant’è vero che da giovedì i suoi sostenitori sono scesi in piazza invadendo Buenos Aires di cortei non grandi e non bellicosi, ma molto rumorosi. Facundo Cruz, responsabile del sistema elettorale argentino, assediato dai giornalisti, ha confermato con molta calma che tutto si è svolto regolarmente e che i timori del candidato presidente non sono sostenuti da alcuna prova.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.