Turbolenze nel mondo, ingerenze in Italia. Dove sembra che i tentacoli di Putin arrivino sin nei faldoni dell’inchiesta milanese su Equalize. Ne parliamo con Massimiliano Coccia, giornalista di inchiesta (oggi a Linkiesta) che conduce la rassegna stampa podcast “Titoloni”: Coccia ha focalizzato il suo lavoro sulle reti di propaganda e di influenza ostili in Italia.

Invasione dell’Ucraina, i voti comprati in Moldavia o le frodi elettorali in Georgia sono – così come le ingerenze nei nostri paesi – le diverse facce della guerra di Putin contro le democrazie europee?
«I tentativi di interferenze nei processi democratici sono un pezzo importante della strategia bellica del Cremlino ed è il primo avvertimento che di solito viene dato agli Stati. Come abbiamo visto prima tentano di influenzare le opinioni pubbliche, poi di influenzare il voto con partiti e candidati che rispondono direttamente alle direttive di Mosca e poi si passa all’opzione militare. È una guerra a tre fasi e noi non ci stiamo accorgendo che è anche in casa nostra».

La firma dell’accordo Kim-Putin aggiunge un ulteriore tassello a quell’asse del male che aveva già incluso come satellite di Mosca l’Iran e i suoi proxy Hezbollah, Hamas, Houthi. Da giornalista di inchiesta, ti sembra che i sistemi-paese europei, e quello italiano in particolare, si stiano attrezzando per rispondere ad un conflitto mondiale ibrido, fatto in gran parte di disinfo, agenti di influenza, spy-ops, infiltrati e ingerenze informatiche su larga scala?
«Credo che i nostri sistemi siano in ritardo, in ritardo culturale prima che strutturale. Vorrei ricordare che solo grazie al lavoro dell’ex Primo Ministro Mario Draghi e dell’allora autorità delegata Franco Gabrielli abbiamo iniziato a colmare un vulnus con la creazione dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale. Occorre avere personale forte e qualificato, giovani esperti, finanziamenti e meno demagogia. I partiti di questo non si occupano, sono ancora fermi ad una concezione novecentesca della sicurezza e si pensa ancora che questo sia un problema marginale. In Italia la Farnesina se la prende con Halloween mentre nel Regno Unito David Lammy fa una campagna pubblica per dire che la disinformazione è un problema per la sicurezza nazionale».

A Roma compaiono manifesti giganteschi, anonimi, inneggianti all’amicizia con la Russia di Putin. Chi e cosa c’è dietro?
«C’è una rete vasta e pericolosa, composta da agenti della propaganda russa corroborata da no-vax, pro-Hamas e vecchie conoscenze delle forze di polizia. Usano circuiti di movimentazione economica come i Bitcoin per far girare i soldi che arrivano dall’estero e che vengono usati per finanziare queste iniziative. Il caso di Roma racconta come un ex dirigente del M5S sia stato il terminale di questa campagna».

Le autorità ucraine hanno sottoposto alla Farnesina il caso dei propagandisti Lucidi e Lorusso, che secondo Kiev risiedono illegalmente nel Paese, non ricevendo risposte. Ci spiega meglio questo caso?
«Andrea Lucidi e Vincenzo Lorusso secondo noi – e soprattutto secondo le autorità ucraine – sono due attivisti al soldo del Cremlino che soggiornano in modo stabile nei territori illegalmente occupati, senza nessun tipo di permesso. Da quanto abbiamo ricostruito la Farnesina non agisce da tempo, nonostante le sollecitazioni del Ministero degli Interni di Kiev. Una storia che sarebbe utile chiarire, anche perché il primo obiettivo del Cremlino è proprio Giorgia Meloni, vittima di un atto ostile con i finti comici russi».

Scoppia lo scandalo dossier, da Striano a Equalize, casi giganteschi. La stessa Autority per la Cybersicurezza si rivelerebbe “bucata”. Che lettura ne dai?
«È un panorama molto inquietante. Si è passati dal dare le mazzette ai cancellieri fuori dal tribunale ad entrare nelle banche dati perché il reato evolve in base agli strumenti e alle innovazioni. Il panpenalismo di questo governo non aiuta la risoluzione, servono fondi come dicevo prima e una alleanza ampia per la sicurezza dello Stato».

Per una potenza ostile oggi non sembra complicato comprare informazioni riservate e perfino segreti militari, come dimostra l’arresto di Biot. Qualcuno parla di data breach a scaffale, di richieste subito soddisfatte…
«Si, la facilità di entrata e l’assenza di protezione sono inquietanti. Occorre riflettere su cosa sia avvenuto nella prima parte della scorsa legislatura, mi riferisco ai Governi Conte. Mettendo insieme i fatti sembra esserci un prima e un dopo: dalle operazioni ‘dalla Russia con amore’ fino ad altre situazioni come il caso Biot ci sono molte cose che non tornano».

Martedì si elegge il nuovo Presidente degli Stati Uniti. Quali sono gli scenari in caso di vittoria di Trump?
«Gli scenari appaiono sin troppo chiari: ci sarà un disimpegno complessivo sulla politica estera, perché la volontà di Trump è quella di una disarticolazione della sicurezza mondiale. Credo tuttavia che da ogni problema possa nascere un’opportunità: magari messa alle strette l’Europa saprà intraprendere la strada della sicurezza comune e della crescente integrazione».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.