Se c’è il paziente zero del coronavirus, se c’è la vittima zero del “Covid trattino 19” è composta da tre parole, la barzelletta raccontata nei talk, con tanto di claque, da lei, ministro Alfonso Bonafede, quella che uno-vale-uno. Perché ci saremmo aspettati, ma si sa, le aspettative vengono spesso tradite, che quelle tre parole sarebbero state l’emblema, la coccarda sul petto del suo impegno sulla giustizia e in particolare sulle carceri.

E invece no. Perché nel tragitto che va dalla casa di Mazara del Vallo dov’è cresciuto, al palazzone di via Arenula dov’è stato spedito a fare il ministro della giustizia, nonostante i chilometri di distanza, lei è riuscito in un capolavoro degno della fisica. Comprimere l’universo piatto grillino cambiando idea alla velocità della luce, che neanche Einstein avrebbe trovato l’equazione giusta per questa curvatura repentina della ragione.

Spazio e tempo all’improvviso si sono deformati e uno-vale-uno è stato risucchiato in un buco nero dove tutto è nulla. E a circa 300 mila chilometri al secondo, dell’uno-vale-uno non c’è più traccia. Un buco nero è. Perché, caro ministro della giustizia, se fosse ancora in vita la vostra teoria, le chiedo, da uno che di tanto in tanto si nutre di dubbi epistemici e non epidemici e che si lascia contagiare dalla curiosità, che è cura dal covid e cura del sapere: chi sta dietro le sbarre ha lo stesso diritto alla salute di chi vive fuori?

Per uno stato civile e democratico, si. Per questo, caro ministro, la invito a rispondere a una domanda banale. Lo deve fare con un sì o con uno, senza tentennamenti. E la domanda è questa: una persona che è in galera vale più o meno di una persona che sta fuori? La differenza fra una persona perbene ed un criminale sta nel valore che la persona perbene dà alla vita umana, anche a quella di un criminale.

Signor ministro, deve rispondere come si fa con l’esito dei tamponi, positivo o negativo. Perché di tamponi qui si parla, di una storia di tamponi.

Da Mazara del Vallo a Roma, caro ministro Bonafede, lei ha fatto strada. Però se gira lo sguardo all’indietro si accorge che a qualche chilometro da dove è nato c’è una figlia che chiede una cosa semplice: che suo padre venga trattato come qualsiasi altro padre. Uno-vale-uno, ricorda?

Lei si chiama Monica ed è la figlia di Paolo Ruggirello, ex deputato regionale in Sicilia, 54 anni tra qualche giorno, arrestato un anno fa con l’accusa di associazione mafiosa, rinviato a giudizio e rinchiuso nel carcere di Santa Maria Capua Vetere ad aspettare un processo che, fissato per dopodomani, chissà quando si celebrerà.

Il 26 marzo Monica parla con il padre e scopre che ha la febbre alta e una brutta tosse. Lo curano con la tachipirina, dice Monica, e chiede che venga fatto il tampone. I sintomi, i segni sembrano quelli. Ma si sa, in certi momenti i segni impazziscono, confondono e magari e solo un brutto raffreddore.

Passano i giorni e i segni continuano a significare sempre la stessa cosa. Strano scherzo del destino di questi tempi. Ruggirello peggiora, gli avvocati chiedono invano la scarcerazione ma l’istanza viene rigettata. I familiari si rivolgono prima all’associazione Antigone e poi al garante dei detenuti della regione Campania.

Finalmente, dopo che il Covid ha fatto un po’ di strada e buona parte del lavoro, gli viene fatto il tampone. Il 4 aprile. Due giorni fa. Dopo una settimana. Risultato? Positivo. E allora, signor ministro della Giustizia Bonafede, ripeto la domanda e la prego di rispondere come un tampone: una persona che è in galera vale più o meno di una persona che sta fuori?

In attesa della sua risposta le dico da non giurista quello che penso del diritto e dei diritti. Il Diritto credo sia simile a una linea retta, dritta, il diritto è dritto secondo me, e penso non contempli lo zigzagare dei parolai o le inversioni a U dei populisti. E allora ministro Bonafede, ci metta un tampone al populismo giustizialista. Si occupi delle persone dietro le sbarre in questa emergenza, anche con una soluzione tampone in attesa del vaccino. Perché il vaccino arriverà e quando arriverà saremo tutti un po’ più immuni dal virus populista e riscopriremo il senso di quell’uno-vale-uno. E cioè che si è persone sempre, dentro o fuori le sbarre, con uguale dignità, con identici diritti e doveri. In parole povere, Paolo Ruggirello e tutti quelli che vivono in carcere a volte, troppe volte, senza essere stati mai condannati nemmeno in primo grado o chi la condanna l’ha avuta ma magari vorrebbero un’altra possibilità, valgono quanto tutti noi.