Pare sia stato Tacito a narrare il primo femminicidio della storia. Non il primo femminicidio. Il primo ad essere raccontato. Siamo nel 24 d.c. e Apronia, moglie del pretore Plauzio Silvano, viene trovata morta, precipitata da una finestra di casa. Del delitto viene accusato il genero, il cui alibi fa acqua. Del fatto si occupa l’imperatore Tiberio in persona: il genero viene arrestato e, una volta in carcere, si suiciderà per evitare un processo infamante per la sua famiglia.

Il primo ad essere documentato, il primo fra tanti. Storici e letterati hanno indagato il fenomeno fin dall’antichità, ne sono uscite decine di testi. Ad ogni latitudine, in ogni secolo, il femminicidio è di casa, una drammatica costante che si è protratta nell’età contemporanea, anche nell’Occidente che pure ha saputo descrivere “l’amore gentile” come nessun altro. Matrimoni forzati e violenza domestica nella Venezia regina dei mari, stupri in Sicilia, violenza sulle donne a Bisanzio e nella Roma antica, caccia alle streghe nel Medioevo e non solo, donne perseguitate in Francia e in Germania, violenza psicologica e crimini del Ducato di Milano, donne violate e spiriti maligni a Firenze, femminicidi e minacce nell’est Europa e nei continenti più lontani. Perfino i proverbi mettono in guardia dal pericolo: Chi dice donna, dice danno; col fuoco, donne e mare c’è poco da scherzare; una rondine non fa primavera ma tre donne fanno una fiera, e via di seguito.
Stereotipi e pregiudizi, autentiche discriminazioni che si sono trascinate fino a oggi, che affondano le loro radici all’origine della civiltà se anche Sofocle, Euripide e Aristotele ne fanno vanto. “La donna quando pensa da sola, pensa male”.

È come se nel dare la morte l’uomo inseguisse un personale riscatto: uccidere una donna perché ha trasgredito, non solo perché adultera, ma perché ha sconfessato la sua autorità prevalendo nello studio, nel lavoro, nello sport, insomma nella vita di una comunità. Perché lo ha fatto sentire più fragile rispetto al suo desiderio di supremazia. Si, homo homini lupus, ma ugualmente: Homo mulieri lupus.

Una storia terribile di vite tagliate che il pregiudizio, pur di faccia alla morte di Giulia, non solo non ha cancellato ma nemmeno circoscritto. Basta leggere i dati del sondaggio appena pubblicato. Il 24% degli intervistati pensa che le donne provochino il maschio grazie al loro modo di vestire; il 18% ritiene accettabile controllare il telefono della compagna; il 7,4% giudica opportuno uno schiaffo se la ragazza ‘cinguetta’ con un altro ragazzo.

Attenzione: più che le leggi è indispensabile l’educazione. L’educazione al rispetto, alla consapevolezza che non può esserci diversità di trattamento tra uomini e donne. Rispetto e uguaglianza, non tolleranza. Il verbo ‘tollerare’ porta con sé una lettura negativa: sopportare una condizione dannosa, resistere a un sopruso, dunque prendere atto di una situazione di conflitto e di disparità. Confermare il presente.
Educazione fino dalle scuole materne, quando il carattere di un bambino è ancora in formazione, e che coinvolga anche i genitori.
Ha ragione Francesco Piccolo. Le regole sono cambiate ma per cambiare gli uomini ci vuole un sacco di tempo. Il problema è che non c’è più tempo.