Un missile a lungo raggio, lanciato dai ribelli Houthi, un gruppo politico e militare sciita che controlla buona parte dello Yemen, ha colpito domenica un’area centrale di Israele. Gli Houthi aderiscono al cosiddetto “asse della resistenza” assieme a milizie paramilitari sciite irachene, che a loro volta fanno parte delle Unità di mobilitazione popolare denominate Kataib Hezbollah (KH), tutte strettamente collegate ad Hamas e ad altri gruppi armati sciiti dell’Afghanistan, eterodiretti dall’Iran. L’attacco non ha causato vittime, ma ha contribuito ad aumentare le tensioni regionali a circa un anno dall’inizio della guerra a Gaza. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha affermato che gli Houthi pagheranno un “prezzo elevato” per questo attacco che ha provocato un incendio e alcuni danni nei pressi del centro commerciale di Tel Aviv.
È la prima volta che un missile lanciato dagli Houthi riesce a penetrare così in profondità nello spazio aereo e nel territorio israeliano. Durante la mattinata sono suonate le sirene antiaeree in varie zone del paese, compresi Tel Aviv e l’aeroporto internazionale Ben Gurion, dove la popolazione ha cercato riparo nei rifugi. Hamas – il gruppo terroristico palestinese che ha innescato la guerra con il pogrom messo in atto il 7 ottobre nei kibbutz israeliani – ha elogiato il lancio del missile, giurando che Israele “non godrà di sicurezza finché non cesserà l’operazione militare antiterroristica nella Striscia di Gaza”. I frammenti del missile disintegrato dalla difesa aerea israeliana hanno provocato alcuni feriti, per fortuna lievi, e tantissimo spavento tra la popolazione.
A luglio un attacco di droni Houthi aveva penetrato le complesse difese aeree di Israele e ucciso un civile a Tel Aviv, ad almeno 1.800 chilometri di distanza dalla base di lancio nello Yemen. Subito scattò la risposta israeliana che provocò danni significativi al porto di Hodeida, controllato dai ribelli e alcuni morti. Il leader dei ribelli, Abdul-Malik al-Houthi, ha dichiarato che l’attacco di domenica è stato effettuato con un “missile balistico” che avrebbe “penetrato” le difese aeree di Israele, ma in realtà il missile si è frammentato a mezz’aria. Da novembre gli Houthi hanno preso di mira Israele in segno di dichiarata solidarietà con i palestinesi di Gaza, lanciando decine di attacchi missilistici, anche con droni, che hanno interrotto la navigazione globale attraverso le strategiche vie d’acqua nel Golfo Persico, al largo dello Yemen. In un discorso televisivo in occasione dell’anniversario della nascita del profeta Maometto, il leader degli Houthi ha dichiarato che i ribelli e i loro alleati regionali, cioè Hamas, Hezbollah e le milizie irachene delle Unità di mobilitazione popolare erano pronti a “sferrare sempre maggiori attacchi contro l’entità sionista” – come da loro definita – “finché continuerà l’assedio di Gaza”.
Intanto crescono i timori di guerra in Libano. Sul fianco settentrionale di Israele, il gruppo sciita libanese, Hezbollah, sta lanciando regolarmente attacchi nel nord di Israele contro le forze di difesa israeliane, e ciò fa temere in un’imminente apertura di un fronte di guerra totale contro il Libano meridionale. Israele ha lanciato volantini sul villaggio di Wazzani, al confine con il Libano, invitando i residenti ad andarsene “fino alla fine della guerra” contro Hezbollah. Il vice capo di Hezbollah, Naim Qassem, ha dichiarato sabato che il suo gruppo “non ha intenzione di andare in guerra“, ma che se Israele dovesse “scatenarne” una “ci saranno grandi perdite da entrambe le parti”. Domenica Netanyahu ha detto che era necessario “un cambiamento nell’equilibrio di potere sul confine settentrionale”.
Da ottobre la violenza è aumentata anche nella Cisgiordania e a Gerusalemme Est, dove domenica la polizia israeliana ha segnalato un accoltellamento a un agente che è rimasto leggermente ferito all’ingresso della Città Vecchia. Per mesi Qatar, Egitto e Stati Uniti hanno cercato di mediare un accordo per una tregua a Gaza e per il rilascio degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas. Intanto il capo politico di Hamas, Yayha Sinwar, dai sotterranei di Gaza, da lui ideati, si dice “pronto ad una lunga guerra di logoramento e di resistenza in Libano, in Iraq, a Gaza e nello Yemen per sconfiggere Israele”.
L’Iran è la testa del serpente di tutte le fazioni del cosiddetto “asse della resistenza” e sta lavorando per destabilizzare il Regno di Giordania e sfruttare la simpatia che molti in Cisgiordania hanno verso i civili di Gaza, nonché per armarli e creare più fronti in un “anello di fuoco” contro lo Stato ebraico. La strategia di Teheran è quella di un lento approccio di “morte attraverso mille tagli” per accerchiare Israele. Negli ultimi mesi la Repubblica islamica iraniana ha fatto affluire un fiume di armi, soldi, droga e miliziani filoiraniani in Cisgiordania. Armi pesanti, incanalate attraverso l’Iraq e la Siria e contrabbandate tramite la Giordania.