Vi ricordate ancora della Loggia Ungheria? L’associazione super segreta, praticamente una P2 del terzo millennio, finalizzata a pilotare le nomine dei vertici delle Istituzioni e ad aggiustare i processi, la cui esistenza era stata rivelata dall’avvocato siciliano Piero Amara alla fine del 2019 ai pm di Milano Laura Pedio e Paolo Storari che lo interrogavano sul “complotto Eni”. La notizia, dopo il clamore iniziale, è sparita dalle pagine dei grandi giornali, ormai concentrati da settimane sul “green pass” e sulle scelte di Giuseppe Conte, tutti argomenti da togliere il sonno agli italiani. Il caso era esploso la scorsa primavera grazie al pm antimafia Nino Di Matteo.
Il magistrato, intervenendo durante un Plenum del Consiglio superiore della magistratura, aveva preso le difese del collega Sebastiano Ardita che, secondo Amara, avrebbe fatto parte di questa loggia. “Una calunnia”, disse Di Matteo. Il pm del processo Trattativa era intervenuto in Plenum dopo aver ricevuto in una busta anonima qualche settimana prima i verbali di Amara, interrogato per ben sei volte alla fine 2019 dalla vice del procuratore milanese Francesco Greco, Pedio, e dal pm Storari. Quest’ultimo, vista l’inerzia dei propri capi nel voler svolgere accertamenti sulle parole di Amara, aveva consegnato a Piercamillo Davigo a marzo del 2020 tali verbali. Essendo atti coperti dal segreto, sia Storari che Davigo sono adesso indagati. Ed è indagata anche l’ex segreteria di Davigo, Marcella Contraffatto, che aveva spedito i verbali di Amara alle redazioni del Fatto e de La Repubblica. Il destino professione della ex segretaria di Davigo, per la cronaca, si deciderà il prossimo 8 settembre. Palazzo dei Marescialli ne ha chiesto il licenziamento. Ma torniamo alla loggia Ungheria.
Quello che sappiamo ufficialmente è che diverse Procure stanno indagando. Milano e anche Perugia. Dagli atti depositati dai pm del capoluogo umbro, infatti, in particolare dagli interrogatori di Amara del 4 e del 17 febbraio 2021, risulta aperto il procedimento numero 84/2021, con delega al Gico della guardia di finanza di Roma. Il reparto da sempre in prima linea quando si tratta di fare indagini molto delicate. Non sappiamo, comunque, se Raffaele Cantone ha interessato per competenza Firenze dal momento che fra i nomi degli appartenenti ad Ungheria ci sarebbe il suo predecessore Luigi de Ficchy. Di nomi Amara ne aveva fatti una quarantina: dal comandante generale della guardia di finanza Giorgio Toschi, all’ex piduista ed ora editorialista de Il Tempo Luigi Bisignani; dal deputato di Italia viva Cosimo Ferri, per anni leader della corrente di destra delle toghe Magistratura indipendente, all’ex presidente del Tribunale di Milano Livia Pomodoro. «La lista completa è a casa di un giudice», disse Amara, consegnato ai pm dei file audio con dei colloqui registrati. «Ho materiale, anche video, per dimostrare i rapporti tra persone che pubblicamente negano addirittura di conoscersi», disse l’avvocato siciliano, ricordando che Ungheria aveva condizionato la nomina del procuratore di Milano. Per Di Matteo la storia è «di una gravità inaudita e si deve andare a fondo: sarebbe grave se la loggia esistesse ma sarebbe ancora più grave se non esistesse». Il motivo: «Poteri occulti vogliono condizionare il Csm». Sperando che i pm raccolgano l’appello di Di Matteo, proviamo noi a fare delle ipotesi.
Primo scenario. La loggia Ungheria esiste. Si tratta di una loggia segreta coperta in grado effettivamente di condizionare l’attività dei magistrati e delle forze di polizia. Una loggia potentissima che è pure in grado di pilotare l’informazione in Italia. Dopo il clamore dei primi giorni, come detto, dovuto soprattutto alle parole di Di Matteo, la notizia è infatti sparita dai radar. E il condizionamento del Csm, terremotato dopo l’indagine di Perugia a carico dell’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati Luca Palamara, con le dimissioni di cinque componenti, potrebbe essere uno degli effetti di Ungheria. Su questo punto è necessario un passo indietro.
Amara, ritenuto credibile dai pm umbri tanto da diventare la principale prova d’accusa a carico di Palamara, farebbe parte della loggia alla quale partecipava egli stesso, l’avvocato Giuseppe Calafiore ed il faccendiere Fabrizio Centofanti tutti coindagati dell’ex presidente dell’Anm ma che hanno subito tuttavia un trattamento diverso. Ad Amara e Calafiore non è stato inoculato il trojan ma è stato inviato “un mero preavviso di malfunzionamento” del cellulare mentre a Palamara è stato bloccato il traffico voce e il traffico dati. Inoltre, nei confronti di Amara e Calafiore non è stato richiesto il rinvio a giudizio ma sono stati stralciati per essere archiviati. Centofanti, che ha patteggiato, non solo non è mai stato intercettato ma nei suoi confronti non è stato compiuto alcun atto di indagine. Anzi il suo nome, pur essendo secondo i pm il corruttore di Palamara, è stato iscritto nel registro degli indagati il 27 maggio 2019 quando cioè l’indagine era finita e Palamara era a quella data intercettato da tre mesi.
Secondo scenario. La loggia Ungheria non esiste ed è il frutto della fantasia dell’avvocato Amara. Perché, però, avrebbe fatto questa messinscena? Amara aveva l’interesse ad accreditarsi come “pentito” con i pm di Milano, in quel momento impegnati nell’indagine più importante degli ultimi anni: quella per corruzione internazionale nei confronti dell’Eni. Lo scopo sarebbe stato raggiunto. Ad Amara non è mai stato sequestrato un euro del suo immenso patrimonio, frutto anche di condotte opache. Eppure l’ex pm romano Stefano Rocco Fava, prima che gli venisse tolto il fascicolo, aveva dimostrato la provenienza non regolare di queste ingenti somme. Fava aveva chiesto l’arresto di Amara ed il sequestro dei beni.
Infine un terzo scenario. Non è una loggia coperta ma un “tradizionale” comitato d’affari. Molto in voga nella Roma dei Palazzi. Nella Capitale è frequente, ad esempio, che avvocati e magistrati si frequentino anche fuori delle aule di giustizia. I rapporti di amicizia fanno il resto. Comunque sia un dato è certo: Amara, grazie ad Ungheria, è riuscito a mettere in salvo il suo patrimonio di quasi cento milioni di euro. Non è un risultato da poco. Anzi.