Un volume da non perdere
Mitezza di Eugenio Borgna: un libro che è una riflessione sul lessico delle emozioni
La mitezza, riflette Borgna, è un sentimento che ha le sue radici nella vita intima di ognuno di noi e che risiede in qualsiasi coscienza, anche la più irruenta, perfino quella che ci appare più idrofoba o iraconda.

Eugenio Borgna, uno degli esponenti di punta della psichiatria fenomenologica italiana, continua a tessere il suo quadro di riflessione sul lessico delle emozioni con Mitezza (Einaudi). Se nel libro precedente, Tenerezza, metteva in guardia su quanto questo sentimento fosse necessario alla costruzione di una vita sociale attenta all’ascolto dell’altro, a volte tramite un consapevole silenzio, e sempre attraverso la solidarietà, con questo lavoro Borgna pone al centro un moto caratteriale che è, per lo psichiatra, “fragile come una farfalla”, ma con “la forza di farci uscire dall’egoismo e dall’individualismo”.
Viene in mente la serata finale del Premio Strega dello scorso anno, in cui il futuro vincitore, Mario Desiati, intervistato da Geppi Cucciari ammise che ogniqualvolta gli capita di inciampare nella gentilezza – parente della mitezza e consumata, oggigiorno, dalla stessa riluttanza ad esprimersi – viene sorpreso a tal punto, che sempre scambia la gentilezza per amore.
La mitezza, riflette Borgna, è un sentimento che ha le sue radici nella vita intima di ognuno di noi e che risiede in qualsiasi coscienza, anche la più irruenta, perfino quella che ci appare più idrofoba o iraconda. Ciò che tende a ricordarci questa riflessione, breve ma densa di significato, è che la vita interiore non è mai appannaggio del singolo, quasi fosse un luogo inaccessibile agli altri o impossibile da toccare attraverso il dialogo. La vita interiore è apertura. Da non sottovalutare, quindi, sarà la sua dimensione sociale.
Siamo individui immersi in una rete di relazioni, siamo animali sociali: questa la nostra natura dagli albori del tempo. “Nessun uomo è un’isola / completo in sé stesso”, recita un famoso verso di John Donne. “E così non mandare a chiedere per chi suona la campana”, conclude nella poesia: “essa suona per te”. Per te, per noi, che ci sentiamo spesso immersi in una condizione di isolamento, in cui il metaforico arcipelago costituito dagli uomini di una stessa comunità, coi loro nuclei d’affetto, con i legami ereditati e con quelli che si creano lungo una vita, tende a sfilacciarsi, a mutare o a incenerirsi. È necessario, sembra ammonire Borgna, nella frenesia e dentro al caos, fermarsi a riflettere.
Scoprire la mitezza dentro il mistero di un sorriso accennato, rendersi disponibili alla comprensione dei fragili moti interiori di chi ci è accanto. Ma non solo. Perché è una riflessione, quella dell’autore, che vanta un accento antropologico e che mette al centro l’uomo nei suoi rapporti con l’altro, chiunque esso sia, vicino o lontano, parente, amico, congiunto, sconosciuto. Pagina dopo pagina, ritroviamo sullo stesso piano persone reali, i casi clinici seguiti da Borgna, e personaggi estrapolati dalla poesia o dalla letteratura.
Ognuno di loro si rende testimone di un sentimento che sembra sia andato perso nel tempo, schiacciato dal peso del performismo o dal cinismo che muove a volte le nostre scelte. E così gli occhi di Silvia, nel canto di Leopardi, ridenti e fuggitivi, sono un modo d’essere della mitezza tanto quanto lo sguardo opaco di una paziente prossima al suicidio. “L’essere miti, non potrei non ripeterlo, significa essere gentili e sensibili, delicati e mai impazienti, non guardare l’orologio, e non stancarsi di guardare negli occhi chi sta male, sapere ascoltare”.
In un approccio alla psichiatria che vuole essere gentile e umana, la mitezza viene eletta a fondamento della vita etica, lì dove la cura che segue al suo esercizio non è solo cura psichiatrica, ma ha profondamente a che fare con la vita di ciascuno di noi. È antidoto, prima che rimedio. Prevenzione, prima che esito. Non solo tema di educazione all’analisi interiore dei giovani che scelgono di diventare psichiatri, dunque. Il campo si allarga e, allargandosi, si prefigge di rompere gli argini dei reparti che prendono in cura la patologia. È un campo universale, lì dove la mitezza, e la speranza che porta con sé, si tramuta in un ponte per uscire dal bozzolo del nostro io e per vivificarci nella relazione con l’altro: imprescindibile ricerca di un senso.
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