In ‘Umano, troppo umano’, Nietzsche scrive ‘i terribili effetti della credenza nelle streghe sono stati gli stessi che se le streghe fossero realmente esistite’.
Carlo Ginzburg, in ‘Stregoneria e pietà popolare’, saggio che apre il volume ‘Miti emblemi spie’, pubblicato in nuova, ampliata edizione da Adelphi, rileva come moltissime streghe e altrettanti inquisitori abbiano davvero creduto nella stregoneria. Pur se questo apparente incontro di credenze si è risolto in uno iato, in una cesura destinata a seguire linee direttrici diversificate.

La nuova edizione contiene una parte seconda, arricchita dalla presenza di ulteriori quattro saggi, il primo inedito in assoluto, gli altri tre inediti in lingua italiana. Il processo che apre il primo saggio, rivolto contro la contadina Chiara Signorini, è esemplare nella costruzione dialettica di uno scontro e al contempo di un incontro di saperi, suggestioni, persuasioni che popolano l’immaginario della presunta strega e quello dell’inquisitore: ora ellittico e serpentino, ora ieratico e marmoreo nel suo contegno, l’inquisitore, anche con l’ausilio della tortura, cerca di far aderire la suppliziata al canone di una verità precostituita che egli ha formulato nel proprio intelletto.

Nel delizioso ‘L’alto e il basso’, Ginzburg si sofferma invece su un passaggio evangelico, la lettera ai Romani, 11, 20, per come poi riportata dalla Vulgata di San Girolamo, predicante ai romani convertiti la necessità di non odiare gli ebrei, un passaggio mutato nel profondo del senso a partire dal IV secolo, trasformandosi da biasimo delle dichiarazioni di superiorità morale a condanna della professione di curiosità intellettuale: solo l’umanesimo, con Lorenzo Valla ed Erasmo, avrebbe poi reso giustizia alla scaturigine concettuale originaria.

È per Ginzburg occasione per analizzare il dispiegarsi della condanna della ricerca intellettuale, soprattutto nel tentativo di penetrare nel fondo dei misteri della natura, del cosmo e del potere.

Nell’ampio ‘Spie’, l’autore ricostruisce il ‘paradigma indiziario’ formulato in origine da Giovanni Morelli e basato sulla costruzione sistematica del generale partendo dai dettagli forse più trascurati del divenire storico: come afferma Ginzburg nella postfazione, è proprio questo paradigma ad averlo aiutato a comprendere le implicazioni della microstoria, nella connessione con la identità e l’individuo, e ‘il rapporto tra testo replicabile e immagini tradizionalmente ritenute uniche’.

Due sono i saggi che, a mio avviso connessi concettualmente tra loro, presentano il maggior grado di interesse e di articolata problematicità. ‘Mitologia germanica e nazismo’, riflessione che origina da ‘Miti e Dei dei Germani’ di Dumézil, volume che l’autore francese avrebbe radicalmente rivisto sin dal titolo e ‘Freud, l’uomo dei lupi e i lupi mannari’.

La congiunzione che scorgo tra i due saggi è l’immanenza dell’irrazionale nel suo atteggiarsi a forma politica nei frangenti, perturbanti, di crisi, da un lato nell’ombra ctonia del Terzo Reich e dei suoi mitemi, e dall’altro lato dalla evocazione di forze primordiali originanti da un animus ferino. A ben vedere, la affermazione di una politica irrazionale come monumento sacrale al mistero fu propria dell’Acéphale e del Collegio di Sociologia, progetti di Bataille, autore richiamato nel testo per la sua fascinazione per l’estetica cupa dei totalitarismi di destra.

Il mito del lupo connette le posizioni politiche e la risorgenza occulta del caos. Nel ‘Wotan’ di Jung. E in Loki, Dio-lupo, divinità-trickster per eccellenza. Gli Ulfedhnar scandinavi, guerrieri-lupo. I Benandanti, cui Ginzburg avrebbe dedicato magistrale affresco monografico.

La ‘scena primaria’ freudiana che connota la analisi delle nevrosi collegate agli ‘uomini dei lupi’ a ben vedere trascolora nella fondazione sciamanica dello spirito del lupo, la cui possessione è, come insegnava Eliade, ordalia funzionale per sperimentare la discesa nel regno dei morti e acquisire poteri ulteriori, mantenendo saldo il baricentro. Come questo libro, autentica bussola per orientarsi nel caos.