«Nulla produce nella mente dell’uomo un’impressione più profonda dell’esempio». Buono o cattivo che sia, potremmo aggiungere parafrasando John Locke, la cui lezione resta attuale nel calcio come in politica. Prendete Insigne, il piccolo gigante che tiene a galla il Napoli a suon di gol. Dopo il progressivo addio dei titolarissimi del mitico Napoli di Sarri, sacrificati all’età e alle plusvalenze, Lorenzo è diventato il capitano della squadra quasi suo malgrado, nonostante un carattere ombroso che ha sempre offuscato l’enorme disponibilità al sacrificio e l’attaccamento alla maglia.

Un nano sulle spalle di giganti, certamente non in grado di guardare più in alto di loro, come quelli di Bernardo di Chartres, ma comunque un eroe popolare da cento gol, un ragazzo della città metropolitana che ce l’ha fatta e che, come spesso accadde, ha trovato in una certa Napoli “del centro” il suo più temibile avversario. Una Napoli mediocre, priva di disciplina e talento, convinta che la puzza sotto il naso sia un antidoto al provincialismo, che lo ha giudicato più per il suo accento che per le sue prestazioni, senza mai perdonargli nulla. Oggi però, se vogliamo ambire alla Champions, non è ai filosofi dei decumani sgarrupati o ai fanatici del Vomero “quartiere europeo” che dobbiamo aggrapparci e neanche agli expà benestanti che scrivono di Napoli con livore e supponenza, bensì a questo “Magnifico” giovanotto di lotta e di governo. Forse non basterà, ma è comunque un contrappasso beffardo per la noblesse e l’intelllighenzia cittadine, accostumate più che altro a dare il cattivo esempio, anche quando lo camuffano da furore rivoluzionario.
Quello arancione, per esempio, sprofonda nel senso letterale del termine, come l’autobus divorato dal fosso di via Aniello Falcone testimonia più di mille parole. La stagione che doveva “scassare” è finita in malora, in un fallimento generale del tutte contro tutti. De Majo si è dimessa, in aperto contrasto con il sindaco e la sua candidata Clemente, oltre che per l’oscura indagine sulla statua di Maradona. Gesto comunque apprezzabile, almeno in Italia, ma che al “sindaco a distanza” de Magistris non è piaciuto. De Majo è diventata così l’ennesimo “core ‘ngrato” di questa sceneggiata amministrativa, nave d’avanspettacolo alla deriva da cui prima o dopo sono scappati tutti. E anche la corsa di Alessandra Clemente non sembra poter andare lontano; del resto il suo monopattino in quelle buche rischia di sparire e costa pur sempre 15 euro all’ora.
In una controversa commedia di Aristofane, l’Ecclesiazuse, le donne occupano l’assemblea di Atene per convincere gli uomini, incapaci e guerrafondai, di poter governare meglio di loro, finendo però per litigare anch’esse. Apologo patriarcale al giorno d’oggi, senza dubbio, ma come non notare che anche a Napoli lo scontro tra “titanesse” ha regalato solo ulteriore caos alla crisi dei maschietti di maggioranza e opposizione, forze disperse tra litigi e candidati part-time, e aggravato la paralisi di un Consiglio comunale che in 15 mesi non ha approvato nessuna delibera, tranne quelle obbligatorie di bilancio?