“Nessun exploit, bensì anni di lavoro in cui mai abbiamo smesso di lavorare sul radicamento del partito nel territorio. Alla fine abbiano raccolto i frutti. Le mie stime davano Forza Italia tra il 12 e il 14%. Non le facevo neppure vedere troppo in giro, per scaramanzia e per stile. Avevo ragione”. Nazario Pagano, presidente della Commissione affari costituzionali alla Camera, forzista di lungo corso (“Silvio Berlusconi si fidava di me”) è l’uomo che tutti cercano a Montecitorio in questi giorni. Se si può parlare di “modello Abruzzo” il merito è tutto suo che quel 14% l’ha costruito “giorno dopo giorno e non certo in due mesi. Basti pensare che in consiglio regionale Forza Italia aveva tre consiglieri e siamo passati a otto”. E tutti Mr o Mrs Preferenze come Sara Marcozzi (ex 5 Stelle passata in FI nell’estate 2023 dopo un pensierino ad andare in Fratelli d’Italia) e Roberto Santangelo, ben 9600 voti. Il presidente azzurro Antonio Tajani gli ha riconosciuto il merito e lo ha nominato nell’ufficio di presidenza del partito. Un riconoscimento necessario oltre che doveroso. Semmai, tardivo.

Oggi Tajani può parlare di rilancio del centro. “Siamo aperti ad accordi politici con tutti coloro che condividono i nostri stessi valori e la voglia di portare avanti battaglie per la giustizia, la riduzione delle tasse e per una politica estera seria”, è il concetto che ripete nelle numerose interviste rilasciate in questi giorni, giornali e tv. “Ci rivolgiamo – spiega – a chi non è andato a votare e a forze di centro con cui siamo già in contatto, liste civiche, movimenti”. Un modo per delimitare il campo di questo nuovo centro al perimetro della destra e del bipolarismo. Non, insomma, un terzo polo. Se Tajani è l’architetto, Pagano è il costruttore, l’impresa che può mettere uomini, mezzi e know how in questa impresa. Lo ha fatto in Abruzzo. Conosce la ricetta da esportare anche nelle altre regioni italiane. “L’elettorato abruzzese, ma anche italiano in genere, è tendenzialmente moderato, un po’ stufo degli eccessi, e bada al concreto; lavoro di buona qualità, buoni servizi, stabilità, concretezza e pragmatismo. Il berlusconismo in fondo è questo. Io ho pensato in questi anni difficili ad allargare ed includere. Avevamo 29 candidati che hanno lavorato bene e in sinergia. Il valore aggiunto è stata l’armonia, un partito che non è una caserma, senza liti intestine. Ragione per cui in provincia di Pescara siamo arrivati al 17%, a due punti da Fratelli d’Italia”.

Ora, se è presto per dire che Forza Italia può ripartire da qui per accarezzare l’idea della nascita di un Partito popolare europeo, la voglia c’è. Ed è tanta. L’astensione al 48% dimostra che un pezzo di elettorato è senza offerta politica. Le analisi dei flussi dei voti concordano nel dimostrare che una larga fetta dei 18mila voti in più rispetto alle politiche del 2022 arrivano da Italia viva, Azione e +Europa. Il centro del centrosinistra, una volta fatto implodere il Terzo polo, non si è fidato del campo larghissimo con dentro 5 Stelle e Conte a far da padroncino ed è andato nel centro della destra. Materiale su cui riflettere, e in fretta, per Carlo Calenda (“il suo candidato eletto, Pavone viene dal centrodestra”, spiega Pagano), Matteo Renzi ed Emma Bonino. Dove il primo, Calenda, forse tende più naturalmente a destra. Gli altri due a sinistra.

È la volta buona per la rinascita del centro? I telefoni degli ex democristiani, a destra e a sinistra, sono caldissimi. Perché oltre il risultato di Forza Italia che in Abruzzo ha migliorato la performance delle politiche del 2022 e delle regionali del 2019, ci sono i risultati di liste minori come quella di Noi Moderati. La formazione di Maurizio Lupi è in costante miglioramento: in Abruzzo ha quadruplicato il consenso in un anno e mezzo, più o meno la stessa cosa è successa in Sardegna, due settimane fa, e in Molise, sei mesi fa. Non può essere un caso. Intendiamoci: dal 1994 in poi, i tentativi di rinascita del Centro sono presto finiti in frantumi. Ci provarono Pierferdinando Casini e Rocco Buttiglione che rappresentavano negli anni d’oro del berlusconismo la stampella centrista dei governi di centrodestra. Il dato di oggi – su questo concordano tutti i politologi – è che le cosiddette “estreme” non pagano più. Ne sa qualcosa Salvini che continua a perdere consensi. La stessa Giorgia Meloni ha molto ridimensionato la sua parte più destra e più estrema e sconfessato molte sue posizioni. Sull’Europa, sui migranti, sulla Nato, sulla spesa pubblica. Dice Maurizio Lupi che in questi diciassette mesi di governo, con la pazienza di Giobbe (la stessa che hanno avuto Tajani e i suoi ministri) ha sopportato fughe in avanti ed estremizzazioni tentando di sopire e troncare, troncare e sopire. “Se c’è un vuoto va riempito”, dice il leader di Noi Moderati. “Noi in primo luogo abbiamo il compito di ridare rappresentanza a coloro che non si sentono più rappresentati. E in secondo luogo ricostruire un grande centro popolare riunendo e non dividendo. E riunificare non significa sommarsi numericamente ma riprendere una tradizione politica che è quella del popolarismo, dando così rappresentanza ai tanti moderati che in questi anni si sono rifugiati nell’astensionismo”.

Gli attori ci sono e sono in movimento. I segnali delle ultime elezioni – Molise, Sardegna, Abruzzo – vanno in questa direzione. Non solo: anche Giorgia Meloni ha bisogno di centro. Ha bisogno che Forza Italia sia forte e ben radicata nel Partito popolare europeo. Solo così può pensare – nei contesti internazionali – di far dimenticare la sua amicizia con Orban e con gli spagnoli di Vox. Le Europee saranno la prova del nove. In quella occasione potrebbe essere misurata una lista che mette insieme tutte le forze politiche ancorate nel Ppe e che sostengono con forza Ursula von der Leyen per il suo bis alla presidenza della commissione europea. Tajani lavora in questa direzione, anche nella scelta dei profili che candiderà per il Parlamento di Strasburgo. Va in questa direttrice tracciata l’ipotesi di candidature come Letizia Moratti e Gabriele Albertini, due profili che possono certamente definirsi moderati. E va in questa direzione l’idea di puntare su personalità della vecchia Lega, come Marco Reguzzoni, ex delfino di Bossi ed ex capogruppo del Carroccio, che della moderazione ne fanno oggi una cifra stilistica. In questa direzione potrebbe andare anche un ritorno in campo del “Celeste” Roberto Formigoni. Sarebbe, da destra, l’offerta politica su cui sta lavorando Matteo Renzi da sinistra. Il tempo stringe, però.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.