Il comico no vax tra Brecht e il Bagaglino
Montesano si traveste da Grillo e prova ad aizzare la folla contro la “dittatura sanitaria”

Montesano come Brecht, di più, come Beppe Grillo? Se il tedesco Bertolt ha inventato la forma “epica” del teatro, contrapponendola a quella “drammatica”, allo stesso modo si potrà dire che il romano Enrico sia riuscito a mostrare sufficiente discontinuità rispetto all’immagine iniziale che di lui avevamo. Al comico di tradizione si è sostituito infatti, da qualche tempo, un organismo professionale modificato che ha il potere di creare, tornando a Brecht, “straniamento”, talvolta perfino imbarazzo. Lo ha fatto prendendo spunto da una provvidenziale (almeno per alcuni) pandemia, issandosi d’improvviso sugli scudi del populismo sanitario, aspirante tribuno, trasecolato, pensando forse, fra sé e sé, “perché Grillo sì, e io no?”.
Nell’immaginario dello spettatore comune, Montesano c’è modo di associarlo alla covata dei “nuovi comici” giunti sul piccolo schermo domenicale ancora in bianco e nero intorno al ‘68: Paolo Villaggio, Cochi e Renato, Pino Caruso, Pippo Franco, Ric e Gian. Infine, non esattamente ultimo, proprio lui, Montesano, con la macchietta di “Felice Allegria”. Indubbio talento di maniera “romanesca”. Il genere? “Ahò, l’arto giorno ho ‘ncontrato mi’ cuggino, sai che m’ha detto? ‘Sto ca…”, e tuttavia inappuntabile. C’è modo ancora di ricordarlo nei panni sempre attoriali d’imbonitore televisivo, venditore di pentole e articoli consimili, e, ripeto, non si può negarne la tenuta comica: tempi e fiato esatti. Scendendo invece nella mitologia capitolina, Montesano, figlio d’arte, venuto al mondo in una storica lieta borgata romana, Garbatella, si ha obbligo assoluto di ricordarlo al fianco di Gigi Proietti in Febbre da cavallo, nel ruolo di Armando Pellicci detto “Er Pomata”, e anche qui spunti inenarrabili… Peccato, che a un certo punto, come il già menzionato Brecht, Montesano abbia deciso di andare “più oltre”, per citare la battuta cinematografica di un collega, inventando nuove forme espressive pubbliche di sé. Il Covid, in questo senso, è stato la sua manna. Così, prendendo spunti dalla pandemia, Montesano ha scoperto, direbbe la sua claque, che “non ce la contano giusta”.
Dunque, “ci dobbiamo battere contro il nuovo ordine mondiale” (sic). In nome della certezza di un complotto in atto, non gli resta allora che fare suo lo striscione dei no-vax: “Siamo contro questo resettaggio, contro la quarta rivoluzione industriale perché vogliono sostituire gli uomini con le macchine, i robot, ci vogliono inserire dei chip, dei nano robot, e chissà che non se non ce li hanno già infilati nel sangue”. Fortuna che si tratti solo del sangue, e non in altro posto, così avrebbe detto Montesano nel lato A della sua vita da attore. Non ce la contano giusta essendo in atto un progetto di “dittatura sanitaria”, più tutto il resto che sappiamo. Montesano dice così probabilmente per giusto bisogno narcisistico, magari finora trattenuto, ed è davvero il minimo se voglia surclassare il “collega” Beppe Grillo, al quale ha scelto di restituire il “vaffanculo”. Rispetto ai fluviali raduni dei 5 stelle, Montesano giorni addietro ha potuto invece contare su contingenti ridotti; diamo però tempo al tempo.
Lo si è visto infatti prendere la parola al Circo Massimo, dov’è il monumento a Mazzini, anzi, “a Mussolini”, come ne I nuovi mostri dice Alberto Sordi, lì nei panni del nobile debosciato Giovan-Maria Catalan Belmonte in procinto di raggiungere gli scismatici di Lefebvre, dopo avere comunque raccolto “il malconcio”. Che si tratti di una conferma antropologica, un episodio ulteriore da accludere al film di Monicelli, Risi e Scola, in assenza dei maestri trapassati? Attore, comico, cantante, presentatore, politico, tutto vero: Montesano si è concesso perfino trascorsi militanti: dal Partito socialista italiano di De Martino e Mancini, primi anni ’70, a deputato europeo del Pds di Occhetto, esperienza, quest’ultima, che ha definito “fallimentare”. Ora la spietata rinascita pubblica. All’inizio quasi dopolavoristica: affacciandosi dall’oblò dei social, apparentemente con distacco da pensionato delle scene, poi, prendendoci gusto, sempre più convinto di conquistare la prima fila della nuova battaglia, magari nella prospettiva di affermare pure lui che la terra è piatta, come già il gelataio Paneroni negli anni Trenta; impossibile ipotecare il futuro. D’altronde, al sano narcisismo non si comanda, e sarebbe ben triste cosa leggere la sua “discesa in campo”, il rifiuto di trangugiare l’oscuro calice dei vaccini e della scienza “manipolata e manipolatrice” come meschina forma, direbbero i coatti, di “rosicamento”. Vorrà dire qualcosa se dal palco improvvisato Enrico Montesano abbia scelto di arringare, grazie a un discorso scritto, un centinaio di manifestanti sempre del “non ce la contano giusta!” Puntando l’indice dito accusatore in primo luogo contro Beppe Grillo, imitandolo nell’inflessione genovese, ritrovando, unica concessione al bagaglinismo, la cifra d’attore comico: “Siamo noi che ti mandiamo a fanculo, perché tu ci hai imbrogliato. Il popolo ti restituisce i vaffa che hai dato…”.
Il resto è invece un nuovo modo di modulare in progress la propria presenza in scena. Non sarà il “teatro della crudeltà” di Artaud, non sarà la forma “epica” del già menzionato Brecht, sarà forse… “Vaccinati o non vaccinati siamo tutti uguali, basta con queste divisioni. Questa è una manifestazione pacifica. Parliamo di unità e un appello a tutti i leader dei gruppi e dei partiti nuovi che stanno nascendo e che non sono rappresentati in Parlamento. Perché il futuro forse è creare una nuova forza che ci rappresenti. E neanche a farlo apposta siamo sotto il monumento a Giuseppe Mazzini, un grande italiano…” E qui, crudeltà vuole, in nome delle semplici leggi dell’assonanza, guardandolo con il microfono in pugno, crudeltà pretende che l’attore possa da un momento all’altro intonare la canzone dei 69 arditi, che “di dietro al monumento di Mazzini facevano all’amore i ragazzini e approfittando della buia sera decisero di farsi delle… seghe il falegname non ne aveva”. Solo che qui al posto del falegname c’è il virologo, viene agitato lo spettro di Burioni e colleghi in camice bianco. Anche Enrico Montesano, come quell’altro, è un grande italiano.
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