La primula 'rossa' e la primula 'nera'
Moretti e Tuti da oltre 40 anni in cella: è ora di liberali, così è solo vendetta
Quando il 4 aprile 1981 fu arrestato Mario Moretti – quanto di più vicino a un capo le Brigate Rosse abbiano mai avuto – il geometra di Empoli Mario Tuti, orgogliosamente fascista allora come ora, era in carcere già da cinque anni e mezzo. Era stato arrestato in Francia il 25 luglio 1975, anche se evidentemente la notizia fu ritardata e ufficialmente la data dell’arresto è del 27 luglio. Avevano in comune la definizione mediatica più abusata che si possa immaginare. Moretti, latitante dal 1972, era “la primula rossa”. Tuti, in fuga dal 24 gennaio del 1975 dopo aver ucciso due dei tre poliziotti che si erano presentati a casa sua per una perquisizione, e averne ferito gravemente un terzo, era, immancabilmente, “la primula nera”.
L’arresto del capo delle Br fu incruento: si dichiarò subito a voce altissima prigioniero politico e si identificò, per impedire che il suo arresto fosse tenuto segreto. Anni dopo ricorderà che il suo primo pensiero fu: “Adesso mi riposo”. A Tuti andò peggio. La polizia italiana lo andò a prendere in Francia, dopo mesi di latitanza passati tra Francia e Italia, in una operazione di dubbia legalità, e sparò ferendolo gravemente. I due hanno in comune qualcos’altro, oltre al nome di battesimo e ai nomignoli coniati all’epoca da cronisti di scarsa fantasia: sono ancora in galera, almeno la notte, nonostante da allora siano passati decenni e quasi tutti i loro compagni o camerati siano già liberi da decenni. La dabbenaggine del plotone di visionari che da decenni sospettano Moretti di essere un infiltrato, un uomo dei servizi segreti, un losco individuo al servizio di mai meglio identificati “pupari”, è tale che nessuno si chiede come sia possibile che, fra tutti i brigatisti a vario titolo coinvolti nel sequestro Moro, l’unico in stato di detenzione sia ancora proprio quello che, se le loro trame bislacche fossero anche solo in minima parte reali, sarebbe dovuto uscire di galera, in un modo o nell’altro, poco dopo l’arresto. Misteri della misteriologia.
Anche su Tuti pesa una sorta di Fatwah mediatica, una di quelle bugie ripetute tante volte da diventare per tutti verità assoluta. E’ considerato uno “stragista nero”, anche se è stato in realtà assolto non solo dall’accusa di essere l’autore della strage dell’Italicus ma anche da quelle relative agli altri attentati ai treni sulla tratta Firenze-Roma del 1974-75, per i quali era stato inquisito. La perquisizione finita nel sangue avvenne in seguito a un attentato sventato alla Camera di commercio di Arezzo effettivamente organizzato dal gruppo di Tuti. Ma il volantino di rivendicazione avrebbe dovuto chiarire subito la differenza tra gli obiettivi di quel gruppo nero e lo stragismo. Quando Moretti fu preso, le Br erano già state sconfitte, anche se nessuno ancora se ne rendeva conto: smantellate da una serie di divisioni interne oltre che dal crescente fenomeno del pentitismo. Cadde nella trappola della polizia proprio perché, cercando di rimettere in piedi l’organizzazione dopo la scissione della colonna operaista “Walter Alasia”, si era rassegnato a trasgredire le norme di sicurezza adoperate allora dalle Br.
Il Fronte nazionale rivoluzionario, fondato all’estremo opposto dello spettro politico da Tuti, non poteva essere sconfitto perché non aveva mai pensato di poter vincere. “I compagni pensavano di poter conquistare lo Stato. Noi sapevamo di non poterlo fare. Volevamo solo far sapere che c’eravamo ancora, che non eravamo stati battuti”, ha spiegato in un’intervista televisiva Tuti nel 2019. Mario Moretti è semilibero dal 1997. In carcere fu aggredito e ferito gravemente poco dopo l’arresto, nel 1981, per motivi mai chiariti. Non si è mai pentito né dissociato. Tecnicamente è dunque un irriducibile, anche se sin dal 1987 ha dichiarato conclusa la lotta armata delle Br. Di giorno lavora in un centro recupero detenuti. La notte deve tornare a dormire nel carcere milanese di Opera.
All’ergastolo per l’uccisione dei due agenti, Mario Tuti ne ha avuto un altro ergastolo per aver strangolato, insieme a Pierluigi Concutelli, Ermanno Buzzi, un detenuto di estrema destra che i due ritenevano fosse diventato un informatore della polizia. Nel 1987 fu protagonista di uno spettacolare tentativo di evasione dal carcere di Opera. Con altri 5 detenuti tenne in ostaggio per quasi una settimana 50 agenti penitenziari, più il direttore, il medico l’intero vertice della prigione. Si arresero in cambio della promessa del lavoro esterno, garantita da Amnesty Interational. Promessa dimenticata subito dopo la liberazione degli ostaggi. Anche lui, nonostante sia da quel 1987 un detenuto modello, è un “irriducibile”.
Tuti ha ottenuto il lavoro esterno, con regime inizialmente molto severo, solo nel 2004, dopo due richieste respinte. Oggi è in semilibertà e lavora in una comunità di recupero tossicodipendenti a Tarquinia. Nel giugno 2020 il magistrato di sorveglianza aveva chiesto, senza avvertirlo, la scarcerazione per Covid. Fu negata data la “pericolosità sociale” del detenuto che commentò a caldo la notizia su Fb: “Se ho ben capito dovrei dire o far dire dal mio avvocato che sono innocuo, imbelle e che non reggo il carcere… Cose che se qualcuno me le dicesse sai i calci nel culo!”.
Mario Moretti e Mario Tuti, entrambi nati nel 1946, sono ancora in carcere nonostante tutti siano consapevoli del fatto che non costituiscono più alcun pericolo. Si sono rifiutati di abiurare, anche per quella via ipocrita che lo Stato italiano ritiene sufficiente ma necessaria: l’invio di lettere di solito burocraticamente preparate dagli avvocati e firmate dai detenuti in cui invocano il perdono dei parenti delle vittime. Hanno criticato le loro scelte ma rifiutando l’atto d’abiura e senza rinnegare la loro biografia. Tuti parla apertamente dei problemi di coscienza con cui convive, ma senza recitare l’atto di contrizione nelle forme richieste. “Si dice che li ferri so’ catene/ma io li porto come bracciali d’oro” ha scritto l’anno scorso, a 45 anni dal giorno del suo arresto.
Il fatto che Moretti e Tuti siano ancora in galera, a differenza di tutti o quasi quelli che da sinistra o da destra impugnarono le armi in un passato ormai lontanissimo, è una barbarie in sé. Ma la motivazione, l’assenza di abiura, l’indisponibilità a rinnegare anche solo per forma e convenienza la loro storia, la richiesta di un atto ufficiale di sottomissione, è anche peggiore. tenerli ancora dietro le sbarre è vendetta. Solo questo può essere: l’affermazione del diritto alla vendetta.
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