La guerra delle cifre
La morte dei bambini palestinesi a Gaza è un dramma, ma la narrazione anti-Israele gonfia i numeri per propaganda
Sulla conta delle vittime si è scatenata un’odiosa guerra delle cifre: a marzo la direttrice generale dell’Unicef parlava di “più di 13mila bambini”, mentre ora le Nazioni Unite ne certificano quasi 8mila. È stata organizzata una campagna di mistificazione, confezionando e spacciando dati falsi
Premessa non di routine ma imperativa: sarebbero tragicamente tanti anche ottocento bambini morti, anche ottanta, anche otto. Figurarsi ottomila. Ma bisogna sporcarsi con i numeri, quando sono usati in modo sporco e per sporchi interessi. Vediamo. Il 17 marzo 2024, quasi due mesi fa, la Direttrice Generale dell’Unicef, Catherine M. Russell, dichiarava che a quell’altezza di tempo “più di tredicimila bambini” erano già stati uccisi nella Striscia di Gaza. In un proprio rapporto del 25 marzo 2024, intitolato “Anatomia di un genocidio”, una sedicente avvocata, la signora Francesca Albanese, “Special Rapporteur on the situation of human rights in the Palestinian territories occupied since 1967”, scriveva che “dopo cinque mesi di operazioni militari Israele ha distrutto Gaza”, e denunciava che “più di 30.000 palestinesi sono stati uccisi, inclusi più di 13.000 bambini”. Qualche giorno fa le Nazioni Unite – pure responsabili, nei mesi, di aver propalato dati simili, perlopiù nel quadro delle accuse rivolte a Israele – dichiaravano di poter certificare che i bambini rimasti uccisi ammontavano a quasi 8.000. Dunque 5.000 in meno, e la metà di quelli che già da febbraio certa stampa, affidandosi ai dati del Ministero della Salute di Hamas, dava per inoppugnabili. Oltre 2.000 bambini in meno rispetto agli “oltre diecimila” di cui tre mesi prima, l’11 gennaio 2024, “Save the Children” denunciava l’uccisione. Circa la metà di quelli (14.500) che, il 16 aprile 2024, il Chief Executive Officer della medesima “Save the Children” attribuiva alle rilevazioni OCHA (United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs).
Ora fermiamoci con i numeri e facciamo ritorno alla premessa: sarebbero tragicamente tanti anche soltanto otto bambini morti. Ma quando sulla contabilità dei cadaveri si organizza una campagna di consapevole mistificazione, oltretutto sulla scorta dell’attività e degli interessi sporchi di chi professionalmente confeziona e spaccia dati falsi, allora è altrettanto imperativo fare chiarezza. La verità, il senso di umanità, l’intelligenza delle cose e la coscienza delle persone perbene non hanno bisogno di numeri rigonfiati di propaganda per avvertire il peso dell’immane tragedia di Gaza, né per denunciarne le responsabilità effettive. Anzi: proprio perché si tratta di vite, molto spesso di giovani e innocenti vite, la contraffazione dei numeri è tanto più odiosa, perché adopera come strumenti e offende anche quelle – e sono tantissime – effettivamente stroncate dalla guerra in corso laggiù. L’uso spregiudicato di quei dati maneggevoli costituisce una pratica tanto più detestabile in un caso, com’è quello del tragico conflitto cui assistiamo, che vede una parte non solo disponibile, ma interessata a fare di quei bambini prima dei sacchi di sabbia e poi altrettanti martiri su cui costruire la santità della propria causa. E proprio per questo, senza rinunciare nemmeno a un pizzico di attenzione e compassione per quelle vittime innocenti, occorrerebbe prendere e trattare con molta cautela le cifre disseminate dalle stesse mani che il 7 ottobre facevano il loro bel lavoro su altri corpi infantili.
Non basta. Una crudezza supplementare, infatti, obbliga a prendere i numeri che vengono da laggiù con la dovuta intelligenza. E qui serve un’ulteriore premessa: un bambino ucciso è una tragedia anche se è un bambino soldato; e si noti che, per “bambino”, i diffusori di quei dati falsi intendono il minore di diciotto anni. Ebbene, non è semplicemente possibile, è assolutamente certo che la resistenza palestinese usa non solo come sacchi di sabbia, ma anche come soldati i bambini. Ed è noto, è ufficiale, è statutario che per ogni figlio “ucciso” le famiglie ottengono denaro dalla cooperazione internazionale, lo stesso denaro impiegato per costruire non parchi giochi ma tunnel, e per remunerare (il 60% dei fondi finisce lì) un sistema scolastico in cui i bambini sono indottrinati al dovere di uccidere e istruiti nell’uso delle armi per farlo. Un’istanza pacifista almeno decente si dispererebbe per i numeri effettivi, e già spaventosi, dei morti tra i civili e i bambini. Senza il bisogno di reperire e diffondere statistiche adulterate da chi ha interesse a farlo. Soprattutto, quell’istanza pacifista avrebbe già denunciato – cosa che non ha mai fatto – che i bambini devono essere protetti dalle bombe tanto quanto, e forse tanto più, da chi si intruppa nelle loro scuole e nei loro ospedali facendone altrettanti bunker. Ma è anche più oscena di questa guerra la presunta istanza di pace che se ne indigna.
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