Il caso
Morte Cristofer Oliva, l’amico Fabio Furlan processato per la sesta volta: è sotto accusa da 13 anni

Tredici anni di indagini e istruttorie, cinque processi e altrettante sentenze non sono bastati a stabilire la verità e mettere la parola fine sul caso di Cristofer Oliva, studente universitario 19enne scomparso il 17 novembre 2009 e di cui non si è più trovata traccia. Non sono bastati nemmeno a provare la tesi della Procura che aveva puntato l’indice contro uno dei più cari amici di Cristofer, Fabio Furlan, arrivando a ipotizzare che fosse stato lui ad attirare Cristofer in una trappola senza però fornire un movente ma indicandone più di uno, dalla lite per gelosia a quella per le piantine di marijuana da coltivare sul balcone. Insomma, come a dire tutto e di conseguenza niente. Ed è in questo limbo di ipotesi senza riscontri e di indizi senza prove che la scomparsa di Cristofer Oliva e il caso giudiziario di Fabio Furlan hanno viaggiato paralleli e si sono trascinati senza arrivare, ad oggi, ad alcuna verità.
Si sa solo che bisognerà ripetere per la terza volta un processo d’appello, e a conti fatti si tratterà del sesto processo a carico di Fabio Furlan che, scarcerato per decorrenza dei termini, vive ormai in Spagna. La decisione di riportare il caso Oliva-Furlan nelle aule di tribunale l’ha presa la Corte di Cassazione (quinta sezione), accogliendo in toto il ricorso degli avvocati di Fabio Furlan (i penalisti Dario Vannetiello del foro di Napoli e Luigi Petrillo del foro di Avellino). La Suprema Corte ha infatti annullato la condanna a 21 anni di reclusione che il 28 febbraio 2020 la Corte di assise di appello aveva emesso a carico di Furlan. «Furlan è accusato di aver, nel lontano novembre 2009, sequestrato il suo amico Cristofer, commesso l’omicidio e occultato il cadavere che non è stato mai più ritrovato», spiegano gli avvocati Vannetiello e Petrillo. Il caso di Cristofer Oliva è diventato un caso di interesse nazionale, non soltanto sul piano investigativo ma anche dal punto di vista mediatico tanto che varie trasmissione televisive a partire da “Chi l’ha visto?” se ne sono occupate nel corso di questi anni. «La difesa sostenne e ancora sostiene che non può escludersi un allontanamento volontario di Cristofer», aggiungono gli avvocati.
Per la Procura e per la famiglia Oliva, invece, Cristofer sarebbe stato ucciso. Anche se il cadavere non c’è e a distanza di quasi tredici anni nessuna traccia di Cristofer è stata trovata. «Il caso ha portato nel corso del tempo a ben quattro sentenze di condanna da parte dei giudici di merito – spiegano i difensori di Furlan -, la prima con una condanna a trent’anni di reclusione. E quando la vita dell’imputato, giovane e incensurato, sembrava avere all’orizzonte solo un ventennio da trascorrere nelle patrie galere è intervenuta per ben due volte la Suprema Corte a stabilire che le affermazioni sottese all’affermazione della penale responsabilità espresse dai vari giudici erano da censurare». Il primo annullamento risale al 24 giugno 2016 quando la Cassazione cancellò con rinvio la condanna a 23 anni e mezzo di carcere inflitta a Furlan l’anno prima dai giudici del secondo grado. È una rarità che uno stesso processo rimbalzi dalla Cassazione alla Corte d’Appello così tante volte. I nodi da sciogliere riguardano la validità delle versioni degli amici di Cristofer, su cui si basa gran parte della ricostruzione accusatoria, e la confusione che avvolge il movente: sullo sfondo della scomparsa di Cristofer si sono delineati, infatti, più moventi ma nessuno con sufficiente chiarezza, dalla gelosia per una ragazza contesa all’ipotesi di interessi divergenti per la vendita di stupefacenti. Bisognerà attendere il deposito delle motivazioni per capire le esatte ragioni della decisione con cui la Suprema Corte ha riaperto il caso di Cristofer Oliva e il processo a Fabio Furlan. Resta il fatto che tra qualche mese si aprirà un nuovo processo. Il sesto.
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