Morti a Gaza, anche l’Onu conferma che i numeri di Hamas erano pura propaganda: il rapporto che taglia le cifre dei terroristi

Bisognerebbe esaminare con un supplemento di attenzione, e con un po’ di memoria comparativa, il rapporto sulla situazione di Gaza rilasciato settimana scorsa dall’Alto Commissariato per i Diritti Umani dell’Onu. Indugia, doverosamente, sulla spaventosa situazione umanitaria che assedia Gaza, attribuendo la responsabilità di quella sofferenza alle operazioni belliche israeliane nonché – fatto sostanzialmente inedito – all’azione delle milizie terroristiche i cui ordigni hanno colpito la popolazione palestinese e le cui operazioni si svolgono facendo uso delle strutture civili, trovandovi riparo e facendosi scudo della gente che le occupa. La parte saliente di quel rapporto riguarda poi la terribile contabilità dei morti.

Il rapporto reca di averne accertati 8.119 al 2 settembre 2024, segnalando che secondo i dati del ministero della Salute di Gaza i morti sarebbero stati, quattro mesi prima, 34.535. Il problema è che l’Onu stessa, nelle sue risoluzioni, nei suoi ammonimenti, nonché la Corte Internazionale di Giustizia nei propri provvedimenti e nell’emissione dei propri pareri, hanno sempre fatto riferimento ai numeri forniti dal ministero della Salute di Gaza (vuol dire Hamas). Per esempio: nel procedimento avviato su ricorso del Sud Africa, la Corte, disponendo misure cautelari a carico di Israele, parlava di 25.700 uccisi. Eravamo al 26 gennaio scorso: con un dato, cui la Corte faceva affidamento, moltiplicato per tre rispetto a quello che, otto mesi dopo, sarebbe stato accertato dall’Alto Commissariato Onu.

Da lì in poi, e salvo quando emergenze contrarie costringevano a correzioni successive, i dati forniti dal ministero della Salute di Gaza (cioè Hamas) sarebbero stati via via ritenuti sempre affidabili dalle Nazioni Unite e dalla Corte dell’Aia. Ancora recentemente il segretario generale dell’Onu, António Guterres, si affidava ai numeri del ministero della Salute di Gaza parlando di 42.200 morti. Lo faceva il 14 ottobre scorso, poco meno di un mese prima che i suoi uffici certificassero l’accertamento di un numero cinque volte inferiore.

Si potrebbe obiettare che – come annota il rapporto dell’8 novembre – l’accertamento è reso complicato dalle operazioni militari e obbliga a un lavoro “estremamente impegnativo, anche a causa dei vincoli di accesso, dell’alto livello di insicurezza e delle minacce e degli attacchi diretti anche al personale delle Nazioni Unite, agli osservatori umanitari”. Il che è ovviamente del tutto verosimile. Ma il guaio è che i dati diversi che nell’arco dei mesi erano snocciolati da Hamas – moltiplicati per due, per tre, per quattro, per cinque rispetto a quelli recentemente accertati – non erano presi, come si dice, con beneficio d’inventario. Al contrario, erano ritenuti perfettamente affidabili e facevano da inoppugnabile base statistica alla sfilza di risoluzioni, di ordinanze, di pareri, di rapporti rivolti a certificare l’esistenza ora del genocidio, ora della pulizia etica, ora della punizione collettiva, ora delle plurime carestie che avrebbero afflitto Gaza e contrassegnato le responsabilità criminali israeliane. E quando quelle autorità, quegli “esperti”, quei plenipotenziari della cooperazione internazionale erano interpellati sulla effettiva credibilità dei numeri di cui pure facevano abbondante e impressionistico uso, ebbene rispondevano che si trattava di numeri controllati, debitamente incrociati, insomma affidabili.

Il paradosso è dunque questo: che l’affidabilità del dato è compromessa quando il dato è accertato, perché le difficoltà dell’accertamento lo rendono verosimilmente difettoso; mentre l’affidabilità del dato non è compromessa quando l’accertamento manca, perché occorre che qualche numero – possibilmente notevole – sorregga le requisitorie e apra le prospettive di incriminazione.

Si tratta, evidentemente, di una materia delicatissima e da affrontare con il dovuto tatto. Perché neppure 8mila, ma già solo 8 morti sono troppi, sempre e comunque. È una necessità di pietoso riserbo, tuttavia, che dovrebbe comandare la parola di tutti, ma di cui non sente la pressione chi da un anno a questa parte largheggia nella distribuzione propagandistica di quei numeri incontrollati soltanto per fare chiasso, per rimestare nella carne della popolazione sofferente e agitare poi le mani sanguinanti a denuncia dello sterminio.

Una pratica che non serve a proteggere né a onorare gli uccisi: i quali, quando sono innocenti, sono intollerabilmente uccisi – perché sono sempre troppi – sia che siano tanti sia che siano pochi. Serve invece a dare aiuto alla guerra di Hamas, semmai indispettita perché quei morti non sono abbastanza.