Harry Belafonte è morto ieri a 96 anni nella sua New York. Nacque da genitori giamaicani in quello che era allora un ghetto, Harlem, è morto nell’Upper West Side – dopo quasi un secolo di successo mondiale. Nei primi anni Cinquanta batté Elvis quando diventò il primo artista a vendere un milione di copie con Calypso portando in cima alle classifiche i Caraibi e l’Africa. Day-O, The banana boat song, Jamaica farewell, con un singolo dopo l’altro fa ballare il mondo con la sua voce baritonale e inconfondibile.

Hollywood lo mise sotto contratto e lo scrittura per Carmen Jones, L’isola nel sole, La fine del mondo, Strategia di una rapina. Lui apre una sua casa di produzione con l’idea di mettere in cantiere i film che gli interessano, non voleva essere marchiato come Sammy Davis jr.

Belafonte si avvicina a un giovane predicatore e attivista per i diritti civili del Sud, Martin Luther King, e inizia a dire no ai film che non gli interessano, no alle parti da ‘professore nero’, ‘avvocato nero’, ‘poliziotto nero’ che finiscono a un altro protagonista della lotta dei neri per l’uguaglianza, il suo vecchio collega dell’American Negro Theatre di Harlem negli anni Quaranta, Sidney Poitier.

Belafonte si tuffa nell’attivismo, nelle marce contro la segregazione, andando in Alabama a chiamare ‘Bombingham’ la cittadina di Birmingham nella quale gli attentati dinamitardi del Ku Klux Klan erano una consuetudine. Artisti e attori neri, in quegli anni Sessanta complicati, optavano per la linea tracciata da Poitier: agire dall’interno del sistema per piantare il seme del progresso. Non abbastanza per Belafonte che dopo l’assassinio del suo amico fraterno Martin Luther King voleva far seguire al funerale una marcia antirazzista. Poitier disse no per evitare disordini, i due amici non si parlarono per qualche anno.

L’Fbi lo sorvegliò attentamente dal 1954 al 1981. Lui torna al cinema nel 1972 diretto dall’amico Poitier con il quale ha fatto pace, ma è una piccola parentesi prima delle grandi comparsate della vecchiaia, per Robert Altman (I protagonisti, 1994) e Spike Lee (BlacKkKlansman, 2018).

Attacca George W. Bush e la guerra in Iraq, scrive libri e nel 2018, secondo anno dell’era Trump, la biblioteca del Congresso lo onora includendo Calypso tra le grandi opere americane conservate nel suo archivio. E lui festeggia l’ingresso nel pantheon andando in tv a dire che “l’America è corrosa dal razzismo, ha un dna fallato. La lotta contro il razzismo sarà permanente… Ero al fianco di Martin, e di Bobby Kennedy. Faccio parte del loro lascito, finché vivrò”.

Redazione

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