Il protagonista
Musk vuole debellare il virus woke per liberare l’America dalle censure: il ruolo da consigliere e i paletti all’intelligenza artificiale
Ha vinto la sua scommessa politica, ma ora punta a scardinare il tritacarne mediatico del pensiero unico. Farà da consigliere sui temi a lui più cari e metterà in guardia sull’impatto sociale dell’Intelligenza Artificiale
Elon Musk è il protagonista indiscusso di questo Trump-bis, riuscendo a monopolizzare e polarizzare l’opinione pubblica ben oltre i confini degli Stati Uniti. La notorietà è combustibile per il suo mito, e il mito è un requisito essenziale nella Silicon Valley. Del resto la sua scelta l’aveva fatta da tempo, e l’attentato a Trump è stata per lui l’occasione di scendere in campo personalmente e finanziariamente: è questa la differenza essenziale con le scelte fatte in passato e soprattutto dall’impegno degli altri magnati delle “big tech”.
La sua discesa a tutto campo nella campagna elettorale (non solo sfruttando il suo social X, l’unico che ha scelto di non perseguire la “censura”, ben diverso dal vecchio Twitter) ha consentito a Trump di beneficiare nuovamente di quello che è stato il suo principale megafono. Ma non si è risparmiato nelle apparizioni pubbliche e nei comizi: ha sfidato direttamente l’élite, che prima lo aveva amato e osannato e poi ripudiato (e in un certo senso minacciato) per i suoi non pochi contratti che lo legano a molte agenzie governative.
Non è facile decifrare Musk, perché i paletti imposti dall’analisi politica non riescono a circoscrivere una personalità come la sua. Genio e sregolatezza, imprevedibilità e multiformità. Perché Elon può essere definito “multiforme”, nel senso puramente omerico del termine. Ed è forse questo suo essere tale che provoca non poca difficoltà in chi in questi giorni lancia continui allarmi sul ruolo che potrebbe avere nella nuova amministrazione Trump (non solo quello ufficiale, ma quello reale), su quanto effettivamente potrebbe incidere sulle prossime scelte della “Casa Bianca” e sull’effettivo rapporto con il nuovo “Comandante in Capo”. C’è addirittura chi ha tirato un sospiro di sollievo, perché alla fine il patron di Tesla, X e SpaceX non è nato negli Stati Uniti. Quindi, nel bene e nel male, non potrà mai aspirare a un’occupazione permanente dello “Studio Ovale”. Però per quattro anni – dicono i timorosi – non sarà solo l’uomo più ricco del mondo, ma anche l’uomo con un certo ascendente su colui che de facto è l’uomo più potente al mondo.
Musk ha vinto la sua scommessa politica. Ha vinto la sua battaglia ma non la guerra, quella che lui ha dichiarato al mondo liberal. Non per Trump, che in fondo è solo lo strumento, ma per ciò che il mondo liberal ha rappresentato e incarnato negli Stati Uniti: un odio maturato su ragioni pubbliche e personali. La sua opposizione senza quartiere alla teoria gender – e ai rischi vissuti sulla pelle di una figlia, trasformata – e a un’America sottoposta alla censura woke, al bavaglio, alle liste di proscrizione. Una nazione divisa, lacerata, non più terra di libertà.
Uomini come Musk fanno scelte a volte incomprensibili perché – per quanto possa sembrarci impossibile – non sono basate sul calcolo, sulla mera valutazione di una massificazione dell’investimento, di un beneficio economico appunto. Ma per ragioni che risiedono nel loro modo di vedere le cose e leggere il mondo, rispondono solo e unicamente alla loro morale. Che non è quella comune, ma un codice costruito mattone dopo mattone con il loro stesso successo. Non possiamo pensare di rinchiudere Musk nelle categorie preconfezionate, né pensare che ambisca a cose comuni, perché si tratta pur sempre di un uomo che non ha nulla di comune. Sempre nello stesso senso vanno lette le sue molteplici contradizioni rispetto a tanti punti su cui è distante dal mondo repubblicano e conservatore. Del resto Musk conservatore non lo è, ma ha scelto il campo in cui – a suo dire – la libertà ha ancora un valore. La libertà – nel bene o nel male – di poter essere sé stessi, di poter affermare il proprio pensiero senza rischiare di finire sotto il tritacarne mediatico della censura.
Se Musk sarà o meno l’eminenza grigia, l’erede contemporaneo di Padre Giuseppe da Parigi, lo scopriremo solo con il tempo. Ma è chiaro che la sua stessa personalità non lo rende neanche conforme ai parametri di un Richelieu per Trump. Musk consiglierà, dirà la sua su temi a lui cari, metterà in guardia sui rischi di uno sviluppo eccessivo di un’Intelligenza Artificiale. Tanto intelligente da superare l’uomo, preoccupazione esposta tempo fa nell’intervista a Nicola Porro. Perché Musk è un visionario che ha a cuore, nella sua personalissima visione, “il futuro dell’umanità”.
© Riproduzione riservata