Nel mio ragionamento successivo alle europee, parto da un assunto incontestabile: il Terzo Polo è finito per mano di Calenda. Per la pace in famiglia abbiamo accettato il cognome di Calenda nel simbolo, rinunciato all’organizzazione di un’edizione della Leopolda, subìto candidature grottesche. Calenda, eterodiretto dalla “Ditta”, ha fatto saltare il banco. Quella percentuale dimostra in maniera chiara che c’è uno spazio potenzialmente enorme da riempire, in quel mondo liberale e moderato che non si rivede nella destra orbániana e la sinistra dei Cobas. Grazie a quel dignitoso risultato, abbiamo portato in Parlamento una qualificata delegazione di deputati e senatori.

Dobbiamo rassegnarci al finto bipolarismo che vogliono propinarci? Nemmeno per sogno. Sono i numeri a dirlo. Lo sguardo a sinistra? Possibile, ma non adesso. Quella è stata la mia casa per molto tempo, dalla quale sono andato via non appena ho percepito che era diventata espressione del vero conservatorismo italiano. E poi, il Pd è disposto a stoppare la raccolta firme contro il Jobs Act? A fare chiarezza rispetto alla causa ucraina? È in grado di ricalibrare l’ambigua posizione sulla guerra in medio oriente? È disposto a interrompere l’iconoclastia della fase renziana? Io credo che questo non sia il momento opportuno per porre queste condizioni perché non abbiamo alcun potere contrattuale.

Allora rafforziamoci, costruiamo definitivamente un centro moderato, che sia portatore di idee chiare e nette. Poi valuteremo se schierarci, anche a costo di fare compromessi, ma sempre al rialzo: abbiamo il dovere di rappresentare una comunità che non può essere svenduta in cambio di qualche seggio sicuro. Ricordiamoci che noi siamo quelli della coerenza, quelli che hanno sfiduciato Conte, rinunciando al potere. Non possiamo compiere una mutazione genetica pur di sopravvivere. Se vado in auto con Prost, quattro volte iridato, è chiaro che mi fido delle sue qualità. Ma se, per quanto esperiente, mi fa intendere che rischiamo di finire sulle barriere allora sono costretto a dirgli di fermarsi un attimo ai box. Figurarsi se lo stesso Prost decidesse di fare inversione di marcia: scenderei da quella macchina. Sono e sarò sempre un estimatore del governo Renzi, il più riformista della storia dell’Italia repubblicana. Ma Renzi non può fare come Prost, lanciando il congresso e poi cambiare idea. Non possiamo attaccare Conte e poi dichiarare che bisogna dialogare anche con lui.

Vorrei un partito finalmente organizzato nei territori in cui gli organismi di partito devono esercitare un vero potere decisionale. Sono convinto che molti dirigenti di Italia Viva siano d’accordo con me. Vorrei un partito che si renda conto che da soli non andiamo da nessuna parte. E Renzi, per quanto votato con larghissimo suffragio, non può da solo consentirci di superare qualsiasi quorum. Ad esempio l’accordo con la nuova DC, in Sicilia, avrebbe sicuramente consentito il superamento del quorum. Abbiamo lasciato liberi almeno 50mila voti, confluiti in Forza Italia. Tutto per schivare gli attacchi di Calenda.

Per concludere mi chiedo se saremo ancora favorevoli a una commissione d’inchiesta sulla gestione del Covid. O se continueremo a essere ancora i paladini del garantismo e avremo la forza di ritirarci da ogni governo locale di destra per escludere ogni ambiguità. E poi, abbiamo la maturità di evitare la lapidazione per chi esprime qualche dubbio sulle strategie? Organizziamoci e poi ci siederemo a discutere, ma con la forza dei numeri e delle nostre idee che non possono essere alienati. Bypassare organismi e regolamenti vuol dire compiere una scelta, esatta antitesi della mossa del cavallo: sarebbe la “mossa della sopravvivenza”. Il problema è che sopravviveranno solo in pochi, non il partito.

Salvo Liuzzo

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