A Napoli, nel mese di ottobre, gli agenti della polizia municipale hanno fermato e controllato 14.751 persone, tra le quali 5.900 erano a bordo di un veicolo, ed elevate 119 contravvenzioni. I destinatari delle multe non hanno rispettato il distanziamento, l’orario del coprifuoco oppure non indossavano la mascherina. Nel mirino degli agenti anche i locali commerciali: 2.349 i ristoranti e i bar controllati, 193 i verbali rifilati a esercenti che non rispettavano la distanza di sicurezza e gli orari di chiusura. Quasi mille i controlli relativi alla sanificazione degli spazi e all’utilizzo del termo scanner, appena cinque i gestori multati. I controlli, finalizzati a verificare l’osservanza delle misure anti-Covid via via disposte dal governo Conte e dalla Regione, sono stati condotti soprattutto nelle cosiddette “zone bene” di Napoli e cioè tra Vomero, Chiaia, lungomare, via San Pasquale e Posillipo, oltre che tra centro storico, piazza Garibaldi e piazza Nazionale.
Qui, fin dall’inizio della pandemia, la presenza di agenti della polizia locale è stata piuttosto massiccia. Tutte gli altri quartieri della città tuttavia, sembrano spariti dai radar dei caschi bianchi. Il motivo è presto detto: la polizia locale non dispone di risorse sufficienti, soprattutto in termini di personale. «È impossibile pensare di monitorare tutte le zone della città – spiega il generale Ciro Esposito, comandante della polizia locale di Napoli- Siamo pochi e cerchiamo di tenere sotto controllo soprattutto le zone della movida, quelle nelle quali il rischio di assembramento è più alto». Riflettori ancora una volta accesi, dunque, sulla mancanza di agenti e sulla difficoltà di gestire e controllare una città così grande e complessa come Napoli. «Attualmente in servizio ci sono 1.450 uomini della polizia municipale – fa sapere il generale Esposito – ma la pianta organica ne prevede 2.300». Già prima dell’inizio della pandemia mancavano all’appello quasi mille agenti, poi il virus ha fatto il resto.
«Il Covid ha colpito 38 agenti – racconta il comandante – e 250 sono al momento in quarantena fiduciaria. Prima dell’emergenza, con un concorso indetto dalla Regione, abbiamo assunto 140 agenti, ma il loro contratto scadrà il mese prossimo. È evidente che abbiamo bisogno di personale». Certo, con questi numeri si fa quel che si può e, ovviamente, ciò che decide il sindaco o chi da quest’ultimo viene incaricato di seguire le vicende della polizia locale. La legge 65 del 1986, d’altra parte, assegna al primo cittadino o a un soggetto da lui delegato il compito di organizzare il lavoro della polizia locale impartendo le direttive e vigilando sull’espletamento del servizio. Ancora una volta viene da chiedersi se l’amministrazione guidata da Luigi de Magistris stia organizzando sapientemente i controlli anti-Covid. Già, perché al virus non piace passeggiare soltanto tra i baretti e il Vomero, ma anche frequentare le periferie. Queste ultime rientrano tra le zone più colpite dal Coronavirus.
La settima municipalità San Pietro, Miano e Secondigliano è quella più giovane di Napoli e, nel mese di ottobre, è stata anche quella che ha registrato il più alto numero di contagi. Eppure, da quelle parti, dei controlli non c’è nemmeno l’ombra. «Qui la polizia municipale non c’era prima e non c’è adesso – racconta Vincenzo Strino, esponente dell’associazione no-profit Larsec, da sempre in prima linea per la riqualificazione del territorio di Miano, Secondigliano e San Pietro a Patierno – I controlli mancano completamente, la settima municipalità è terra di nessuno e l’emergenza Covid è completamente fuori controllo». Nelle scorse settimane la situazione è stata denunciata più volte, ma pare che nessuno abbia dato peso alle segnalazioni.
«Questa parte della città – dice Strino – è dimenticata da tutti. Noi rappresentiamo una realtà a parte. C’è una parte di Secondigliano che rispetta le regole e un’altra che vive come se il virus non esistesse, senza mascherina e in continui assembramenti». Ma nella Napoli lontana dal luccichio e dai salotti chic, non si scende in strada solo per divertimento, ma anche per istinto di sopravvivenza. «Qui il virus si è diffuso a macchia d’olio perché la gente, se non esce per lavorare, muore di fame – racconta Strino – Così moltissimi asintomatici hanno continuato a lavorare a nero. La sensazione è che lo Stato faccia regole senza tener conto della disperazione che vivono diversi quartieri della città. Qualcuno lo ha dimenticato, ma Miano, Secondigliano e San Pietro a Patierno, come tanti altri quartieri periferici, fanno pure sempre parte di Napoli».