Le celebrazioni per la vittoria in Qatar
Napoli, Argentina: festa per il Mondiale e prove generali, tutti pensano allo Scudetto
A vederla da Piazza Dante, dai Tribunali, dalle strade del centro storico sembrava non ci potesse essere altro finale. A vedere dalla mattina i tifosi argentini cantare, a sentire per una giornata intera senza soluzione di continuità il coro (“Muchachos, ahora nos volvimos a ilusionar”) diventato la colonna sonora dei Mondiali, non sembrava potesse esistere altra possibilità all’infuori di questa Argentina campione del mondo in Qatar, di Lionel Messi a esaudire la promessa che non aveva mai fatto e che tutti gli avevano sempre chiesto, di Napoli di nuovo unita con la terra del “fin del mundo” a celebrare una vittoria che sa di discendenza, una tradizione trasmessa di padre in figlio, qualcosa in più di una simpatia. E di prove generali: qualcuno lo sussurra, altri sono scaramantici, ma tutti immaginavano il Napoli campione d’Italia.
Gli argentini sono arrivati da tutta Italia. “Dovremmo essere cinquemila”, dice un uomo arrivato da Cosenza apposta per vedere la finale “en la ciudad de D10s”. Il numero sembra essere spropositato. Maradona è ovunque. Stessa cosa ha fatto un gruppo di amici che vive in Sicilia: hanno fittato un van e se la sono fatta fino a Napoli. A Piazza Dante hanno cominciato a riunirsi dalla mattinata. “En Argentina nací, tierra de Diego y Lionel, de los pibes de Malvinas, que jamás olvidaré. No te lo puedo explicar, porque no vas a entender, las finales que perdimos, cuántos años las lloré”. Viaggiano mate e birre. La maggior parte non sa dove vedere la partita. Qualcuno parla di un maxischermo a Castel dell’Ovo, qualcun altro allo Stadio a Fuorigrotta. Entrambi negati. Sulle chat Facebook e Whatsapp circola una lista di locali dove è possibile vedere la partita.
Ai Quartieri Spagnoli, in via Emanuele De Deo, ai piedi del murales dedicato a Maradona dopo la vittoria del secondo Scudetto nel 1990, diventato una specie di luogo di pellegrinaggio dalla morte del Pibe de Oro, c’è un piccolo maxischermo ad altezza d’uomo per una piazza affollata dal primo pomeriggio. A vedere bene tra argentini in bilico, napoletani assiepati, alcuni seduti a terra, riflessi sullo schermo e proiettore coperto sono in pochi. Quando Messi segna l’1 a 0 la folla esplode come una bottiglia di champagne. Dopo pochi minuti il contropiede del 2 a 0. Remake. Fine del primo tempo.
E fine della festa: la partita non si vede più, il proiettore viene staccato. Forse nessun permesso. È arrivata la polizia che organizza il flusso di gente sempre maggiore. Il proiettore viene portato via. Gli argentini non smettono di cantare, arrivano i tamburi. “Es un sentimiento, no puedo parar”. La gente segue la partita dagli smart-phone, qualcuno legge la diretta, altri riescono a vederla e scatta il capannello. La situazione è novecentesca. Le differite tra ogni dispositivo fanno arrivare le notizie in maniera frammentata. All’incertezza si aggiunge la goliardia: ha segnato la Francia, no non è vero, ma quando mai, ma no sta pariando, ha vinto la Francia, e vabbè. Gli argentini continuano a cantare: “Quiero ganar la tercera, quiero ser campeon mundial”. Ormai la cantano anche i napoletani. Due tre ragazzi si fermano a riflettere: “Fra, immagina che cosa succede se vince il Napoli”. Seguono ipotesi e scongiuri. E quindi è vero che Mbappé ha fatto doppietta: è vero che si va ai supplementari. Quando Messi mette dentro il 3 a 2 alle differite si aggiunge il Var. Che Mbappé metta dentro il 3 a 3, tripletta in finale Mondiale, sembra davvero troppo, uno scherzo. E invece rigori.
È il culmine del rito collettivo, della scelta di chi ha deciso di uscire e riunirsi invece che vedere la partita comodo a casa su Rai1. Poco importa che si tratti probabilmente della partita del secolo, per alcuni la miglior finale dei Mondiali di sempre. La maggior parte della gente guarda al gruppo più caldo di tifosi argentini che non ha smesso mai di cantare, seduti su un muretto, magliette Albiceleste, del Boca Juniors e bandiere. È una triangolazione: questi infatti a loro volta guardano qualcuno dall’altra parte del vicolo dove che evidentemente sta riuscendo a vedere la partita. Di come stia andando lo si capisce da esultanze e gesti. Chi tira, come va, a che stiamo non si capisce. Si capisce però quando ha vinto l’Argentina: esplode la festa.
La scrittrice Fabrizia Ramondino aveva paragonato i gol di Diego Armando Maradona con il miracolo di San Gennaro: una ricostruzione dell’identità. Quei gol sono diventati un legame con l’Argentina. El Pibe de Oro riuscì a spaccare anche la città alla semifinale che ai Mondiali del 1990 si giocò allo Stadio San Paolo contro l’Italia: tanti restarono con gli azzurri, tanti altri mantennero fede all’idolo che gli aveva portato due Scudetti. Per la finale in Qatar si è ripetuto quello che era successo con la morte e con gli anniversari della morte del Diego. Con gli argentini e i napoletani a celebrare insieme. “Y el Diego, en el cielo lo podemos ver, con Don Diego y con la Tota, alentándolo a Lionel”.
È qualcosa che suona meno retorico considerando i chilometri che gli argentini che vivono in Italia hanno percorso pur di unirsi a Napoli. La festa è continuata. Ai Quartieri, a Piazza Dante fino a tarda serata. Diego Maradona Junior in maglia albiceleste e bandiera. Gli argentini lo fermano, chiedono un selfie, qualcuno è più insistente, lo accarezza come una statua: “Te quiero”. Poco prima il primo figlio del Pibe aveva pubblicato sui social una storia, in lacrime: “Che peccato tu non l’abbia potuto vedere. Mi avevi detto che la Coppa tornava a Buenos Aires”. Anche lui pensa a quello che potrebbe succedere tra sei mesi: il Napoli è primo in classifica, 8 punti di vantaggio sulla seconda, la Serie A riprende il 4 gennaio. Tutti pensano alla stessa cosa. Non manca la profezia, il presagio, la premonizione: l’ultima volta che l’Argentina vinse il Mondiale era il 1986, l’anno dopo il Napoli vinse il suo primo Scudetto.
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