A volte è una svista investigativa, altre una cattiva interpretazione degli indizi, una valutazione sbagliata, superficiale o frettolosa. In qualche caso è legata alla mancanza di esperienza di chi indaga, in qualche altro è dovuta alla smania di trovare presto un colpevole o alla tentazione investigativa di innamorarsi di una pista e trascurare le altre. Quale che sia il motivo alla base degli errori giudiziari e delle ingiuste detenzioni, gli effetti che generano sono devastanti, spesso irrimediabili.

Da oltre dieci anni Napoli è in cima alle classifiche delle città italiane per numero di ingiuste detenzioni. Vorrà pur dire qualcosa questo dato storico? Dovrebbe far riflettere. Non si può solo pensare di archiviarlo con un semplice «scusi, ci siamo sbagliati», anche perché non è nemmeno detto che arrivino le scuse. Nel 2012 la media era addirittura di un caso al giorno, cioè un errore o un innocente in carcere ogni giorno. Alla data del 31 maggio 2012, delle 144.650 cause pendenti dinanzi alla Corte di Strasburgo, 14.150 provenivano dal nostro Paese. Mentre Napoli deteneva il record nazionale: basti pensare che tra assoluzioni e risarcimenti, dinanzi alla Corte di appello napoletana pendeva il 9,53% dei casi nazionali. I risarcimenti? Negli anni hanno raggiunto centinaia di milioni di euro. Numeri comunque sottostimati, considerato che circa il 60-70% delle richieste di risarcimento per ingiusta detenzione viene respinto e il breve termine di prescrizione per presentare la richiesta (due anni) scoraggia chi deve intraprendere una causa contro lo Stato.

Da 25 anni l’associazione Errori Giudiziari, creata e guidata dai giornalisti Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone, raccoglie storie e traccia bilanci su errori giudiziari e ingiuste detenzioni. «Tutto è cominciato alla fine degli anni Ottanta con il caso di Enzo Tortora e con la storia di Lanfranco Schillaci, un papà ingiustamente accusato di violenza ai danni della figlioletta di due anni – spiega Lattanzi – Da 25 anni ci occupiamo di ingiuste detenzioni ed errori giudiziari per sensibilizzare l’opinione pubblica su questa che riteniamo una delle emergenze del sistema giustizia ancora troppo sottovalutata». «In Italia – aggiunge Lattanzi – il vero problema più che gli errori giudiziari sono le ingiuste detenzioni». Nell’ultimo anno a Napoli i casi sono stati 101, ma si prevede che possano essere nella realtà moti di più. Molte vittime infatti, dopo lo choc dell’ingiusta detenzione, non hanno la forza, la voglia o i soldi per affrontare una causa e chiedere allo Stato un risarcimento. Inoltre, sono pochissime le azioni contro i magistrati che si risolvono con una condanna: su 604 azioni presentate tra il 2006 e il 2017, per esempio, solo 17 sono state accolte e in soli quattro casi le controversie sono arrivate a una pronuncia di condanna.

Sullo sfondo, in ogni caso, restano le vite di innocenti segnati dall’esperienza del carcere e da accuse infondate. Antonio (il nome è di fantasia) è un imprenditore di Acerra: fu rinchiuso in carcere per 800 giorni per un’accusa terribile (omicidio), condannato in primo grado a trent’anni di reclusione e definitivamente assolto dopo il processo d’Appello, quando emerse che le accuse contro di lui si basavano su un’intercettazione ambientale male interpretata. Lo Stato lo ha riconosciuto vittima di una detenzione ingiusta, ma nessun risarcimento potrà mai ripagarlo per quella gogna ingiusta. Laura (anche questo nome di fantasia per tutelare la privacy della protagonista della storia) è una donna bulgara di trent’anni: ha vissuto in una cella per tre lunghi anni. L’arrestarono a Mondragone accusandola di far parte di un’organizzazione criminale che rapiva e faceva prostituire ragazze dell’Est Europa, ma solo dopo si scoprì che quelle accuse erano falsità che un’altra donna raccontò ai magistrati per vendicarsi di un litigio.

Sempre dal Casertano, da Capua questa volta, arriva un’altra delle tante storie raccontate dall’associazione errorigiudiziari.com: è la storia di uno studente di 20 anni che si ritrovò d’un tratto sbattuto in una cella con l’accusa di aver commesso due rapine a mano armata nel centro di Aversa. Furono necessarie le indagini difensive per ricostruire, anche con tabulati e mappa delle celle telefoniche alla mano, tutti gli spostamenti del 20enne e dimostrare che non era lui l’autore di quelle rapine. Di qui l’assoluzione in primo e in secondo grado e il riconoscimento, dinanzi alla Corte di Appello di Napoli, a un congruo risarcimento per i dieci mesi di ingiusta detenzione. In compenso, però, quanta sofferenza e quanta ingiustizia. La stessa ingiustizia della storia di un imprenditore avellinese costretto a trascorrere 120 giorni in carcere e 330 agli arresti domiciliari per un riciclaggio di denaro mai commesso. In cella l’uomo perse venti chili, cominciò a star male, pensò persino al suicidio, mentre fuori la sua azienda perse soldi fino a sfiorare il fallimento. Perché stare in carcere da innocente equivale a una tortura.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).