Una polveriera ad alto rischio
Napoli, il dramma del lavoro nero che impegna il 60% degli occupati ma solo il 10% del Pil

Il Riformista ha denunciato con largo anticipo i rischi collegati al tracollo del lavoro in Campania, e soprattutto a Napoli città. Sono rischi che non vanno sottovalutati dal punto di vista economico (e su questo tema si stanno esercitando economisti e politici per trovare le risposte nel prossimo futuro). Ma soprattutto non va sottovalutato il rischio della furia sociale che potrebbe esplodere per la necessità di sopravvivenza di migliaia e migliaia di persone che vivono a Napoli e in Regione Campania con il lavoro in nero: dai parcheggiatori abusivi, ai ragazzi dei bar, dai pizzaioli ai camerieri, dalle commesse ai manovali, ai giornalieri in cantieri e campi. E di questo, purtroppo, nessuno parla.
Troppo scomodo? Prematuro o inopportuno? O semplicemente un atteggiamento cieco e superficiale? Viviana Lanza ha intervistato Ernesto Albanese: presidente dell’associazione L’Altra Napoli e figlio di Emilio, ucciso nel corso di una rapina nel 2005. Quella tragedia ha segnato la vita e l’impegno di Ernesto, ma non ha insegnato nulla, non ha cambiato nulla. Non a caso, oggi Ernesto lancia un allarme severo: senza un piano di rilancio della piccola economia che incentivi al lavoro onesto migliaia di giovani, questa città, questa terra, rischiano di esplodere. I dati aggiornati parlano di 540mila posto di lavoro azzerati ad oggi. In termini di popolazione è circa un sesto della popolazione dell’area metropolitana di Napoli. Ma stiamo parlando di lavoratori ufficiali. Quelli per i quali si possono prevedere ammortizzatori di vario tipo. Ma gli altri? Gli invisibili?
Ieri l’altro, a Pozzuoli si sono registrati 10 furti. Quelli che in genere si registrano in un mese. Dice nulla? Secondo voi, cosa fa un ragazzo tra i 15 e i 30 anni, poco scolarizzato, che vive in contesti sociali border line, che per 50, 60, 70 giorni non porta un euro a se stesso o in casa? Non solo. Si dice che questa è una guerra. Che il dopo sarà come il 1945: miseria, fame, futuri azzerati. Sarà così, ma con una differenza abissale: quello era un mondo e un tempo in cui si era poveri da sempre e l’abitudine al sacrificio e alla ristrettezza era atavica. Oggi questa falcidie del lavoro colpisce una società ricca, o almeno abituata ad avere oltre a un piatto a tavola, anche molti oggetti che appartengono all’immaginario del benessere.
Non sarà facile contenere l’onda dello scontento, della rabbia, della disperazione. Per questo va studiato da subito un piano di incentivi per rilanciare il lavoro, ma che obblighi al coinvolgimento dei giovani, alla regolarizzazione quanto più agevolata possibile del lavoro giovanile. In questo serve una pianificazione concertata a livello europeo, perché anche in questo, l’Italia da sola – e la Campania men che meno – potrebbe mai farcela.
E soprattutto niente fanfare sul nulla, come si può permettere di fare un sindaco come il nostro, che tra un anno non ci sarà più e che avrà anche la fortuna di poter addebitare l’impossibilità di realizzare anche una sola delle panzane annunciate all’epidemia. La città è una polveriera sociale: questa sarebbe l’ora di radunare ogni pensiero, ogni risorsa, ogni progetto, ogni energia per ridare futuro agli invisibili del lavoro che, ricordiamolo, sono il 60 per cento delle teste occupate, ma che producono solo il 10 per cento del Pil: quanto basta, cioè, per sopravvivere. Se non c’è nemmeno quello, sarà durissima. Aspettiamo risposte, proposte, idee, fatti.
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