Napoli, la squadra va verso il paradiso Champions mentre la città sprofonda

Siamo di nuovo in zona rossa, ma non è soltanto una cattiva notizia. Per la città, in lockdown forse fino a Pasqua, è senza dubbio l’ennesimo colpo in pieno viso, aggravio di una crisi economica e sociale che raramente ci ha dato tregua nel passato ma che da febbraio dell’anno scorso si è fatta insopportabile. Per la squadra, al contrario, essere in zona rossa vuol dire essere tornati a due punti dall’Eldorado della Champions: in poche parole, essere ancora vivi.

Da una parte il Napoli, che ha deciso finalmente di emigrare dalla mediocrità del centro classifica e di ricominciare dai tre punti di Milano: quasi un omaggio a quarant’anni dal film miracoloso di Massimo Troisi, un genio che avrebbe riprovato ancora oggi, senza esito, a spiegare che i napoletani viaggiano anche senza la valigia di cartone in mano. Dall’altra, una Napoli mortificata dalla paralisi istituzionale più ancora che dalla povertà o dalla paura, una città sospesa, come il caffè e tutte le stucchevoli panacee a favore di telecamera a cui ci ha abituato la bene-deficienza dei social media. In entrambi i casi, comunque, una sensazione di precarietà che lascia la bocca amara nonostante l’aria di primavera.

De Laurentiis si logora e riflette sulla prossima stagione, sui suoi mancati investimenti sui giovani, sul centro sportivo e sul valore reale del suo tesoro in tempi di pallone pandemico e di stadi vuoti; “San Totò”, come lo chiamava magistralmente Fellini, e Paolo Isotta con lui, lo avrebbero trasfigurato in modo crudele e irresistibile nel degno erede di Arpagone, se solo avesse avuto il tempo di vederlo. Gattuso, intanto, allena con un piede sull’uscio e la voglia di seminare rimpianti, mentre Insigne e i suoi compagni cercano una strada che non li faccia scivolare nell’anonimato. La squadra, in ogni caso, è ancora artefice del proprio destino e, di questi tempi, non è poco.

La città, invece, assiste allo spettacolo metafisico della politica locale che, nel luogo più teatrale del mondo, ci tiene a confermare che è la natura a imitare l’arte e non viceversa. Il “sindaco a distanza” Luigi de Magistris è ormai uno spasso letterario, surreale quanto il Mercurio di Plauto che, nell’Anfitrione, gioca a fare il Sosia di Sosia, spassandosela come un matto di fronte all’altrui sconcerto. «In data odierna», però, come avrebbe chiosato il Principe, il paradosso è duplice, perché dalla Calabria il sindaco imita ormai soltanto la controfigura di se stesso. Genio puro.

E se è vero che ciascun genio si crea i propri precursori, come ricorda Borges, ciò vale pure per gli epigoni che a Napoli sono quelle “forze” politiche, assai debilitate in verità, che coltivano illusori candidati come fanno i bambini con i loro amichetti immaginari. Candidati ectoplasmatici, evocati più che altro per garantirsi la sopravvivenza istituzionale in un déjà vu di sublime cinismo, che risale fino a Eduardo e ai fantasmi di Pasquale Lojacono: un uomo che era sì tormentato dall’infedeltà della moglie, ma non fino al punto di non fingere di credere che fossero i fantasmi a portagli in casa quei soldi lasciati invece dall’amante di lei.