Tutto si può dire di de Magistris, tranne che sia un sindaco-sceriffo. Sarebbe perciò fuori luogo aspettarsi da lui atteggiamenti, per capirci, alla De Luca. Non va dimenticato, poi, che il contrasto alla criminalità, in particolare a quella organizzata, non rientra nei compiti istituzionali di un primo cittadino. Detto questo, però, e prima di arrivare al punto, rileggiamo insieme alcune dichiarazioni riportate ieri dai giornali, in particolare dal Corriere del Mezzogiorno e da Repubblica che ha segnalato il tema della violenza a Napoli anche con un titolo sulla prima pagina nazionale. Sono tutte dichiarazioni di alti rappresentanti dello Stato, di autorità che, per ovvie ragioni, sanno di cosa parlano. Cominciamo.

Marco Valentini, prefetto: «La violenza della microcriminalità di Napoli non la vedo in altre città italiane. Qui si ricorre all’uso delle armi anche per rubare un tablet». Ancora Valentini: «Bisogna lavorare molto sul tema delle armi da fuoco. Il circuito illegale è rintracciabile: qualcuno conserva le pistole con la matricola abrasa. Noi dobbiamo capire da dove arrivano e dove vengono tenute. Di armi, a Napoli, ce ne sono troppe». Franco Gabrielli, capo della polizia: «Dopo il lockdown, in un contesto generale che vedeva i reati di sangue sempre marginalizzati, con una curva decrescente degli omicidi, le realtà napoletana e foggiana hanno rappresentato delle eccezioni, nel senso che si è continuato a sparare e a morire ammazzati, seppure in una percentuale minore». Luigi Riello, procuratore generale: «Noi magistrati non dobbiamo controllare la criminalità puntando solo ai piani alti. C’è il problema delle armi. Anche un giovane deve capire che a una condotta criminale segue una rigorosa risposta dello Stato. Tuttavia, deve essere fatto di più sul piano delle bonifiche sociali, e questo appartiene ad altre istituzioni». Ancora Riello: «Le periferie, che sono state negli ultimi periodi il brodo di coltura di questa violenza giovanile, sono diventate una pattumiera sociale». E ora ecco come il sindaco ha commentato tutto questo.

«Quando la città è piena di persone e di cultura – ha detto de Magistris – il crimine fa un passo indietro. Adesso, invece, c’è il rischio che quel passo indietro diventi un passo avanti». Ancora de Magistris: «Devo dare atto a magistratura e forze dell’ordine di aver fatto un lavoro enorme, ma storicamente c’è un problema sulle armi in circolazione, e adesso si è ripreso anche a sparare. Dal prefetto ci aspettiamo analisi e risposte». Il punto è. Queste risposte e queste analisi devono venire solo dal prefetto? Al di là delle responsabilità istituzionali, non c’è una sensibilità civile più complessiva da mettere in campo? Come mai, allora, l’allarme sullo stato della città – uno stato, come si è visto, assolutamente particolare – è stato lanciato dal prefetto e non anche dal sindaco che invece ha dato l’impressione di essere stato preso in contropiede? Cosa vuol dire l’avverbio “storicamente” utilizzato proprio dal sindaco a proposito delle troppe armi in circolazione? È un modo per diluire l’emergenza nel tempo?

Per dire: sì, il problema c’è, però…? Giusti, inoltre, i riferimenti alla cultura come deterrente e alla città svuotata dal Covid. Ma non è forse vero che a Napoli il giovane Arturo è stato aggredito prima del lockdown; che una guardia giurata è stata uccisa in un agguato; e che le “stese” ci sono state anche quando il virus ancora non c’era? Non c’è, nella periodizzazione che piace al sindaco, l’eco di una excusatio non petita? E per essere chiari fino in fondo: sul tema delle periferie diventate pattumiere, chi deve dare una risposta? Il prefetto? E se è così, l’anno prossimo eleggiamo un sindaco o un prefetto?