Con Napolitano l’Italia ha perso uno Statista che ha segnato l’epoca contemporanea. Si può discutere, e a volte con punti di vista che hanno oltrepassato la critica lo si è fatto tanto in questi giorni, sulla bontà del suo operato da Presidente della Repubblica, sul suo passato e sull’essere stato fin troppo presente o meno di quanto avrebbe potuto in alcuni passaggi storici e critici per la vita politica del Paese.
Una cosa però è certa: nei suoi nove anni al Quirinale ha spesso messo al centro di discorsi e atti, critiche e inviti, i giovani. Come forse solo Mattarella farà, e come forse solo Pertini aveva fatto.

Già nel suo primo discorso di insediamento come Presidente, nel 2006 aveva invitato ad avere una “fiducia non retorica nel futuro del nostro Paese”, che possa contare sui giovani e su un sistema di istruzione che “offra a tutti uguali opportunità di sviluppo della persona e premi il merito e la dedizione allo studio e al lavoro”. Parole che nel 2023 tra tassi di disoccupazione giovanili ai massimi, abbandono scolastico fuori controllo e percentuali di NEET tra i più alti d’Europa appaiono ancora attuali e purtroppo inascoltate.
E anche nel famoso discorso di insediamento per la sua rielezione, nel 2013, aveva sollecitato un impegno reale verso una gioventù che, anche in quel periodo come oggi, stava vivendo un periodo complesso: accennando al tema del lavoro, cruciale già dieci anni fa, aveva esortato a “non restare indifferenti verso giovani che si perdono”, invitando a trovare un’apertura nuova verso il cambiamento e uno slancio sociale che mirasse, in maniera condivisa, a cercare soluzioni urgenti a problemi sociali che diventavano sempre più grandi.
Nei suoi discorsi di fine anno è stato spesso il tema della disoccupazione giovanile al centro dei suoi messaggi, a volte anche provocatori. Un tema ricorrente e continuamente evidenziato davanti a tutta Italia e di cui ha chiesto sempre urgenza nell’agenda politica dei vari Governi.

È nel 2014, nel suo ultimo discorso di fine anno, che invita tutti i cittadini a essere il primo impulso per il futuro dell’Italia, come fanno “quei giovani che non restano inerti nella condizione ingrata di senza lavoro, ma prendono iniziative, si associano in piccoli gruppi professionali per fare innovazione, creare, aprirsi una strada”. I giovani presi ad esempio: una rarità nella politica italiana degli ultimi anni.
Nel 2013, sempre parlando soprattutto a chi giovane non è più e siede nelle Istituzioni che dovrebbero garantire loro un futuro ricco di opportunità, prese alcune lettere ricevute da ragazze e ragazzi e ne lesse alcuni stralci: una provocazione forte e mirata. Una ragazza, disoccupata dopo la laurea, gli scrisse “io credo ancora nell’Italia, ma l’Italia crede ancora in me?”. E Napolitano confermò, nel suo ruolo istituzionale, che questa domanda ci avrebbe dovuto scuotere e non rimanere inascoltata. È successo? Forse no.

Nel 2010 aveva aperto il discorso dedicandolo apertamente ed esplicitamente ai più giovani. In un anno dove le crisi economica e sociale erano state forti e vissute da chiunque nel Paese, spronò le giovani generazioni a non rimanere paralizzate “dall’ansia e dall’incertezza” del contesto, rivolgendosi poi ad altri, dicendosi certo che “quando i giovani denunciano un vuoto e sollecitano risposte sanno bene di non poter chiedere un futuro di certezze, magari garantite dallo Stato, ma di aver piuttosto diritto a un futuro di possibilità reali”. Il tema delle possibilità e delle opportunità, il tema del futuro che il Paese stava dando ai propri figli, il tema della giustizia sociale intesa come investimento verso una fascia sociale già allora messa spesso in disparte erano sempre forti e presenti in molti suoi interventi.
Si rivolse più volte anche direttamente ai giovani, invitandoli a non essere semplici spettatori, ma farsi politica attiva. Un invito che più volte ha rivolto alle nuove generazioni e anche alle precedenti, sottolineando come un Paese come il nostro non può avere un futuro certo se vi è un distacco netto, crescente e radicale tra cittadini e politica. Proprio perché la politica è anche sollecitazione verso le Istituzioni e la scelta di avere un comportamento o un altro. In un intervento del 2012 davanti a una platea di giovani ricercatori disse, come monito e con voce più alta e sostenuta del solito, che la fuga dalla politica sarebbe stata una catastrofe per la nostra società, invitando ancora una volta la platea a mettersi in gioco. Scelse invece un luogo pieno di significato, nel 2012, per rivolgere nuovamente un appello ai giovani per trovare interesse verso la politica: è nell’aula bunker di Palermo che li stimola a entrare al più presto in politica, perché “l’Italia ne ha bisogno e ve ne sarà grata”.

Napolitano è stato uno dei più grandi portavoce e rappresentanti delle nuove generazioni degli ultimi anni. Nel suo ruolo istituzionale li ha sempre difesi, spronati, portati ed esempio e rimessi al centro di un dibattito dove già dieci anni fa mancavano.
Un approccio e un’attenzione sempre più rari nella politica di oggi, e che, purtroppo, ha pochi eredi. Ma di cui c’è un gran bisogno, perché le sfide e i problemi che il Presidente portava dieci o quindici anni fa, sono ancora tra noi: solo, più gravi o forti.