1) Il 25 dicembre del 1991 la bandiera rossa con la falce e il martello calava dal pennone del Cremlino sostituita da quella bianco, rosso e blu della Russia. Lo Stato nato dalla rivoluzione d’Ottobre non esisteva più. La sua capacità di attrazione era venuta meno da tempo. Era fallito il tentativo di Gorbacev di ridefinire una missione che consentisse all’Urss di rientrare nelle dinamiche del mondo globale e di ridare al comunismo la capacità di emanare un credibile messaggio universalistico. Il fallimento dell’ultimo segretario generale del Pcus metteva a nudo le insormontabili contraddizioni insite nel tentativo di riformare il comunismo sovietico.

2) L’altro tentativo di riforma fu quello condotto da Chruscev. Egli comprese che occorreva fare i conti con lo stalinismo. Difficile negare gli effetti liberatori della sua denuncia brusca, clamorosa e drammatica al XX congresso del Pcus nell’indimenticabile 1956. Tuttavia la risposta del leader sovietico alla esigenza emersa all’indomani della morte di Stalin di rivedere obiettivi, strategie e ruolo dell’Urss e del comunismo internazionale fu, come scrive Silvio Pons, debole e inefficace. Nella visione del comunismo chrusceviano restava intatta la convinzione che il capitalismo andava incontro alla depressione e alla catastrofe, assente era la capacità di intendere la tenuta e il dinamismo del sistema occidentale. Di qui le illusioni su una competizione economica vincente. Fallirà il tentativo di riformare, sulla scorta delle tesi di Evsej Liberman, l’economia sovietica, introducendovi concetti quali la produttività, gli incentivi, il profitto d’impresa.

3) Chruscev uscì di scena il 14 ottobre del 1964 vittima di una congiura che avrebbe aperto la strada all’era di Leonid Breznev. Lasciava un’Urss meno dispotica di quella che aveva ereditato ma le fondamenta del regime sovietico restavano quelle forgiate da Stalin. Negli anni di Breznev sarà raggiunta la parità negli armamenti con gli Stati Uniti ma apparirà chiaro che sotto il coperchio di ferro della dittatura politica permaneva una realtà di inefficienza e degrado economico, oltreché di fame e miseria per strati sempre più estesi della popolazione. Con l’invasione della Cecoslovacchia nell’agosto del 1968 venne stroncato l’ultimo tentativo di riformare un regime comunista. La vicenda ungherese del ‘56 e quella della Cecoslovacchia nel ’68 segneranno la fine del tempo delle riforme “dall’alto”, promosse dalle classi dirigenti dell’est. In Polonia, dalla fine degli anni Settanta aveva preso corpo un movimento di massa che “dal basso” erodeva ormai le basi del regime.

4) Era inevitabile, si chiede Silvio Pons a conclusione del suo bel libro sul comunismo La rivoluzione globale, il crollo dell’Unione Sovietica? Fu Gorbacev a provocarlo involontariamente, aggiunge Pons: «Il suo ideale di un socialismo dal volto umano lo portò a varare riforme insostenibili per le compatibilità del sistema, che innescarono la dissoluzione». Nei trent’anni successivi alla fine dell’Urss si sono moltiplicati i lavori e le ricerche per capire le ragioni di fondo che hanno portato l’Urss al crollo e il comunismo allo scacco. La rivoluzione del 1917, scrive Aldo Schiavone, “rappresentò la quintessenza di quel trionfo “giacobino” della politica… che era l’esatto contrario delle previsioni e degli auspici di Marx. In questo senso fu di sicuro “una rivoluzione contro Il Capitale” (per riprendere una formula celebre) destinata a riproporre per tutto il secolo il mito della conquista del potere come puro atto di forza e di volontà. Accadde così che il carattere giacobino della rivoluzione cristallizzatosi in una forma di Stato si trasformò rapidamente in dispotismo. Infine il colpo di grazia al sistema fu inferto dalla straordinaria trasformazione capitalistica che dalla seconda metà degli anni Settanta del Novecento aveva cambiato il volto del pianeta. Travolto dal mutamento e incapace di adeguarvisi il comunismo diventerà all’improvviso una figura inattuale e obsoleta”.

5) La verità è che avevano visto bene Julij Martov e i menscevichi: quella di Lenin fu la dittatura del partito e si trasformò dopo nella dittatura del despota Stalin sulla intera società russa. L’ultima illusione dei riformatori gorbacioviani, il ritorno a Lenin, lo aveva già sostenuto Chruscev, non avrebbe impedito una crisi sempre più profonda di quel sistema. Eduard Bernstein, il socialista più denigrato della storia del Movimento Operaio, vedrà nel leninismo la conferma che le rivoluzioni finiscono col risolversi nella pura conquista del potere. Privilegiato l’aspetto militare, la costruzione di un ordine economico e sociale nuovo si esaurirà in una serie di atti volontaristici, in “tentativi capricciosi…brancolamenti dilettanteschi” che produrranno danni irreparabili.

6) Trent’anni fa, Gorbacev uscì dalla scena come un uomo sconfitto e tuttavia, senza la sua iniziativa, la fine dell’Urss difficilmente avrebbe presentato un carattere pacifico. Quel sistema avrebbe potuto esasperare il suo aspetto concentrazionario, chiudersi senza varchi come una fortezza assediata, tentare una avventura militare. Soluzioni disperate che avrebbero imposto sacrifici sconvolgenti. Imboccare la via cinese avrebbe significato una tragedia di proporzioni incalcolabili per l’Europa e per l’Urss. Gorbacev scongiurò un simile esito. Rinunciò al profilo imperiale dell’Urss lasciato in eredità da Stalin, liquidò la concezione del potere che aveva portato alle tragedie di Berlino Est nel 1953, di Budapest nel 1956, di Praga nel 1968, di Varsavia nel 1981. Il putsch dell’agosto 1991 a Mosca fu un penoso colpo di coda di un regime ormai esausto. Gorbacev uscì dalla scena come un uomo sconfitto. La sua iniziativa, scrive Silvio Pons, «se non aveva cambiato il sistema né rinnovato il comunismo, ciò nonostante, aveva privato di senso una sua difesa ad oltranza».

7) Con la fine del comunismo implodeva un sistema totalitario. Eppure le immagini di quell’ammaina bandiera senza onore nell’indifferenza dei moscoviti suscitava una profonda tristezza al pensiero dei tanti che avevano guardato al comunismo come una utopia liberatrice. Il comunismo storico è fallito scriverà Norberto Bobbio ma i problemi restano. La via maestra per affrontarli è in un ancoraggio ideale e politico alle imprescindibili lezioni della democrazia liberale e al pensiero socialista democratico. Consapevoli come scriveva Isaiah Berlin che nessuna soluzione perfetta è possibile nelle cose umane e ogni serio tentativo di metterla in atto è destinato con ogni probabilità a produrre sofferenza, delusione e fallimento.