Entra Rutte, esce Stoltenberg. Il cambio ufficiale al vertice della Nato avviene oggi, dopo che la successione tra i due era stata definita prima dell’estate. È l’atto conclusivo per la corsa a una poltrona su cui si erano fatti rumors di vario tipo. Da Ursula von der Leyen a Mario Draghi, passando per Matteo Renzi. Cardinali papabili, bruciati da loro stessi prima ancora di entrare in conclave, in quanto – fino a poco tempo fa – l’incarico di segretario generale dell’Alleanza atlantica era preso come un impiego di retrovia. Poca adrenalina, tanta dottrina da imparare, saltuaria visibilità sui media. Adesso, con la guerra in Ucraina, le cose sono cambiate. Manovrare dei carri armati ha la stessa sostanza che tagliare dei tassi d’interesse. Rutte riceve quindi un’eredità che non ha nulla da invidiare al lavoro di Christine Lagarde o di von der Leyen. Anzi. Mai come oggi la Nato si è trovata a gestire, al tempo stesso, un conflitto a pochi chilometri dal suo confine orientale e l’ipotesi di una sua riforma strutturale.

NATO in discussione

Dalla fine della Guerra fredda in poi, quante volte si è detto che l’Alleanza atlantica andrebbe sostituita con un’alternativa non meglio identificata? Quante volte da Washington, non soltanto per bocca di Trump, è giunto il warning per cui gli Usa sarebbero intenzionati a ritirare truppe, navi e risorse da casa nostra per farci gestire in autonomia la nostra sicurezza? Ora la scelta di incaricare il lituano Andrius Kubilius come commissario Ue alla Difesa arriva come ultimo tassello, ma solo in termini di tempo, a questa sequenza di tentativi di messa in discussione del Trattato del Nord Atlantico. Eppure la Nato quest’anno ha compiuto 75 anni e sembra non sentirli affatto.

Certo, se non fosse per la guerra in Ucraina, Stoltenberg tornerebbe a Oslo con un bilancio mediocre per i suoi dieci anni di mandato. Dal 2014 al 2022 si è dovuto arrangiare tra lo smantellamento di una serie di missioni internazionali più o meno fallimentari e gli attacchi appunto di chi dell’Alleanza non voleva sentir più parlare. The Donald first. Ma non che quelle di Obama fossero opinioni tanto diverse. Di nuovo, se non fosse per l’Ucraina, oggi Stoltenberg passerebbe alla storia come il segretario che ha dovuto ammainare la bandiera Nato della missione Isaf in Afghanistan e che ha chiuso l’Operation Ocean Shield, condotta nel Golfo di Aden contro la pirateria. Una missione che, con gli attacchi degli Houthi in loco, adesso farebbe comodo.

Il nuovo concetto strategico

Anche sul successo di altri impegni militari fuori dal quadrante europeo ci sarebbe da discutere. Per esempio nemmeno l’operazione Unified Protector in Libia, finalizzata a proteggere la popolazione locale durante la guerra civile, non ha portato grandi risultati. Del resto, tutte queste manovre sono in linea con il “Nuovo Concetto Strategico”, che la Nato si era data nel 2010. Allora il segretario era il danese Rasmussen e la dottrina diceva che l’area euro-atlantica stava vivendo un periodo di pace e che le probabilità di un attacco convenzionale contro i territori Nato erano molto basse. Peccato che già al tempo Putin c’era e aveva dimostrato più volte di che pasta fosse fatto.

Però lasciamo perdere le dietrologie. Concentriamoci sul cambio al vertice Stoltenberg-Rutte. L’attualità conferma che la Nato ci serve ancora. A noi Europa quanto agli Usa. Le critiche a lei rivolte si stanno smontando una per una. Per prima cosa quelle del suo nemico. La Russia voleva tenersi la Nato il più lontano possibile. Al contrario, è riuscita a farvi ammettere Svezia e Finlandia. E logicamente a candidare l’Ucraina. Alla faccia della ricostruzione dell’impero sovietico!

A mancare è la parte operativa

Anche per gli Usa la Nato è tornata utile. Finché c’è guerra in Medio Oriente, infatti, bisogna che ci sia qualcuno a dire “ragazzi, non andate oltre”. Di questo devono essere consapevoli sia Trump sia Harris. La Sesta flotta deve restare a Napoli. Infine c’è la Ue. Che, proprio per i motivi di cui sopra e nonostante il rapporto Draghi indichi nella Difesa un asset della nostra competitività – ma forse lo dice in chiave economica e industriale – arriva tardi. Su Ucraina e Medio Oriente, la posizione della Bruxelles europea è chiara. Ma non va oltre la politica. Mentre quella che serve è la parte operativa, che resta nelle mani della Bruxelles in uniforme. Proprio per questo Rutte avrà un gran lavoro da fare.