Il Patto Atlantico sceglie la continuità
Nato, Stoltenberg resta Segretario
L’Alleanza atlantica ha scelto per la continuità o ha dimostrato l’incapacità di proporre un nome diverso dall’ex premier norvegese?

Nessuna novità nella leadership dell’Alleanza Atlantica. Il segretario generale Jens Stoltenberg, dopo avere più volte affermato di non volere prorogare ulteriormente il proprio mandato alla guida della Nato, ha annunciato la decisione degli Stati membri di posticipare di nuovo la sua segretaria fino al primo ottobre del 2024. «Il legame transatlantico tra Europa e Nord America ha garantito la nostra libertà e sicurezza per quasi 75 anni, e in un mondo più pericoloso, la nostra Alleanza è più importante che mai» ha sentenziato Stoltenberg dopo avere dato su Twitter la notizia della sua permanenza alla guida del blocco euroamericano.
La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha parlato di «ottima notizia», mentre il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha voluto esprimere il suo favore per la riconferma sottolineando che «Stoltenberg ha guidato la nostra Alleanza attraverso le sfide più significative per la sicurezza europea dalla Seconda guerra mondiale.
Oggi la nostra Alleanza è più forte, più unita e propositiva di quanto non sia mai stata». Parole che confermano certamente la sinergia tra alleati riguardo la necessità di dare un segnale di continuità in un periodo di estrema turbolenza per l’intero blocco occidentale.
Tuttavia, in attesa del fondamentale vertice di Vilnius del 12 e 13 luglio, la scelta di mantenere al suo posto uno dei segretari generali più longevi (e più importanti) della storia della Nato sembra anche una decisione dettata dal desiderio di non arrivare al summit con troppi dossier da risolvere e divisivi. In questi mesi, infatti, si è più volte parlato della necessità di individuare una figura di spicco che potesse piacere a molti Stati membri e allo stesso tempo convincere quelli più scettici. Eppure, nonostante il tempo avuto a disposizione e la volontà di Stoltenberg di non rimanere per un altro periodo alla guida della Nato, i Paesi membri hanno sostanzialmente deciso di non decidere, puntando sull’usato sicuro e confermando in realtà le difficoltà nel trovare una sintesi per tutto il blocco a fronte delle sfide che Bruxelles deve affrontare. La partita è apparsa in effetti sempre molto difficile, perché ben diverse sono le anime che convivono nel sistema euroatlantico e differenti le linee strategiche ritenute prioritarie per il futuro. Per un certo periodo si era paventata l’ipotesi del ministro della Difesa britannico, Ben Wallace, che dopo avere anche sponsorizzato la propria candidatura ha deciso di tirarsi indietro.
In alcune fasi, invece, aveva preso piede l’idea di un primo segretario generale donna, e in tanti avevano parlato della danese Mette Frederiksen, specialmente dopo il viaggio della stessa alla Casa Bianca. Qualcun altro aveva ipotizzato la nomina della premier estone Kaja Kallas, ma su questa sembra avere pesato la sua essenza di “falco”, che preoccupa i Paesi che non vorrebbero una Nato del futuro eccessivamente aderente alle visioni intransigenti dei baltici o troppo poco interessata ad altri fronti. La scelta di puntare di nuovo su Stoltenberg, l’ex primo ministro norvegese che dal 2014 siede sullo scranno più alto dell’Alleanza, segnala quindi le difficoltà di trovare un nome che mettesse a sistema tutte le varie esigenze degli stati membri, l’interesse delle maggiori potenze, e che raccogliesse il placet degli Stati Uniti. La sua figura appare quella più adatta grazie anche al lavoro svolto fino a questo momento, che gli ha assicurato il rispetto di tutti gli Stati membri e molteplici proroghe. Ma l’attuale segretario generale è visto anche come garante di una continuità di vedute essenziale in una fase di profondi cambiamenti della strategia atlantica, non solo per il grande tema dell’Ucraina, ma anche per i futuri rapporti con la Russia e per la sfida rappresentata dalla Cina. Al netto dei meriti, resta tuttavia l’immagine dell’enorme difficoltà dei leader dell’Occidente nel sedersi intorno a un tavolo e trovare l’accordo per la guida dell’Alleanza.
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