Sul fondo del mare greco riposano, solo così hanno trovato la pace, 80 persone. Li chiamano migranti. Itaca, come sei lontana adesso. Ulisse, in questa storia, non ti raggiungerà mai e del cantore Omero rimane solo una parola: Odissea. Sul fondo del mare è sprofondata l’umanità. Mentre su, in superfice galleggiano mesti, mesti i resti di una barca, un giubbetto di salvataggio che è venuto meno al suo compito, dei vestiti, frammenti di vita quotidiana che sono rimasti a galla mentre nel naufragio dell’umanità tutto andava perso.

Non sapremo mai di chi erano le cose che sono rimaste a galla, che si sono salvate dalla furia del mare e da quella della politica. Mentre si cercano le parole, si cercano pure centinaia di “dispersi”, si temono cinquecento morti. Cinquecento. Erano a bordo del peschereccio affondato intorno alle 2 di notte del mercoledì a 47 miglia nautiche da Pylos. Pare che dopo una protesta a bordo dei naufraghi, il trafficante – capitano abbia abbandonato la nave con una scialuppa. Poi il buio e la barca che va a fondo. Sono persi in un mare che li ha inghiottiti.

Troppo tardi, forse. Eppure, tutti sapevano. Tutti sapevano e nessuno ha fatto niente. L’allarme è stato lanciato nel pomeriggio di martedì. C’era tutto il tempo per salvare chi a sua volta tentava disperatamente di salvarsi dal suo Paese e da un destino già scritto, il finale poteva essere cambiato solo con la fuga. Che quel peschereccio lungo trenta metri stesse affondando lo sapevano tutti. Secondo la versione della Grecia, inizialmente Alarm Phone era stata contattata per segnalare un’imbarcazione in difficoltà. Anche un aereo dell’agenzia europea Frontex aveva avvistato il peschereccio nella tarda mattinata di martedì, e successivamente due motovedette.

Le autorità elleniche si sono giustificate spiegando che i migranti “hanno rifiutato qualsiasi assistenza e hanno dichiarato di voler proseguire il viaggio verso l’Italia”. Insomma, avrebbero scelto arbitrariamente di morire annegati. Poi c’è la versione di Alarm Phone che smentisce la ricostruzione fornita dalla Grecia, sostenendo che la Guardia costiera ellenica era “stata allertata alle 16.53”, così come “le autorità greche e le altre europee”. Quindi, spiegano, “erano ben consapevoli di questa imbarcazione sovraffollata e inadeguata” ma “non è stata avviata un’operazione di salvataggio”.

Come per Cutro, così per Pylos. E non chiamatelo destino. C’è stata una ecatombe nel Mar Ionio, la più grande strage nel Mediterraneo dal 2005 a oggi. E non c’entra, nelle righe che leggete, la legge, la destra e la sinistra, le regole, i confini e i muri. C’entra solo una cosa: l’umanità perduta. Perché al di là di ogni cosa, ragionevole o meno, c’è un fatto: non siamo più umani. Siamo politici o militari, guardia costiera o parlamentari, ma non più umani.

Non siamo più madri, padri e figli. Nelle parole che raccontano il naufragio, ci sono cento bambini nascosti nella stiva. Cento piccoli che si sono affidati alla loro mamma e al mare. Dove sono? Nel naufragio dell’umanità resta una storia non scritta, la storia di chi è morto, di chi è disperso e di chi non crescerà. E un giorno vi si chiederà conto di tutto questo.

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.