C’è un filo rosso che unisce lo scontro tra Trump e Zelensky alla Casa Bianca, il vertice ambizioso (ma fallito) di Parigi convocato da Macron e il conseguente incontro organizzato in fretta e furia nel weekend dal premier inglese Starmer: si tratta del ritorno dell’Europa delle nazioni. In questo mondo nuovo, segnato dall’interventismo muscolare e imprevedibile del presidente americano, emerge una condizione inaspettata per l’Europa: da un lato vede l’Unione modello Bruxelles fragile, attonita, di fronte ai fendenti scagliati da Washington; dall’altro proprio questa fragilità si può rivelare un’opportunità che spinge a ridisegnare equilibri inediti, inaspettati.

È “curioso” che sia proprio la Gran Bretagna a giocare un ruolo di primo piano in questo ridisegno degli scenari. Starmer, infatti, si trova a giocare il ruolo di europeista riluttante, e quasi non riesce a credere all’opportunità che gli è caduta tra le mani: può mettere l’Inghilterra alla testa di questo processo di ricostruzione. La trasformazione di quello che doveva essere un semplice incontro informativo tra i principali partner europei in un D-Day che potrà fare storia è un indizio. E poi c’è il destino – aiutato dall’incontinenza trumpiana – che regala al premier la possibilità di passare, con un abile colpo di mano, lo sbianchetto su anni incerti di politiche che hanno visto traballare la relazione tra le due sponde della Manica.

La scissione con Bruxelles va in soffitta nell’arco di un mattino, la Gran Bretagna si ritrova non solo al tavolo di quelli che decidono ma, anzi, tutti ora guardano a Londra per trovare un qualche punto fermo in questa tempesta. È bastato un attimo, colto con abilità, e bye bye Brexit: come sempre il pragmatismo inglese, non privo di opportunismo, esce vincente nell’ora più buia e fa ritrovare a questo paese la memoria e il ruolo che gli spettano nella storia continentale.

Sono iconici l’abbraccio felice riservato a Meloni dall’inquilino di Downing Street e la dichiarazione congiunta diramata dopo il bilaterale che, mai come ora, ribadisce e rinsalda un legame speciale tra i nostri due paesi. Ed è altrettanto significativo che proprio questo tipo di rapporti bilaterali sembri essere il metodo scelto da ora in avanti per parlare di Europa. “Noi europei”, è tornato a dire Starmer in un recente incontro in Scozia, ma senza alcun riferimento all’Unione a guida brussellese. Come se la farraginosa istituzione continentale segni il passo di fronte all’incedere di un rinnovato e fresco spirito di unità che non guarda solo alle istituzioni comuni, ma a patti di vicinanza, ad amicizie costruite nel tempo e sulla fiducia tra persone e governi.

La comune causa pro-Ucraina è il primo banco di prova di questa inconsueta modalità. E non sarà forse che Trump, con i suoi modi da sceriffo, sia il principale inconsapevole fautore di una rinascita europea, di una rinnovata anima che – nello spirito di Ventotene – finalmente non parte dal tecnicismo dei palazzi ma dai popoli e da ciò che li unisce?