La corsa alla segreteria dem
“Nel Pd ci saranno sempre più anime, Meloni? Continuità con Draghi ma consola elettori con i migranti”, intervista a Stefano Ceccanti
Stefano Ceccanti, costituzionalista tra i più impegnati, già senatore Dem, esponente di primo piano di “Base riformista”. Enrico Letta ha indetto le primarie per la segreteria il 19 febbraio 2023. Stefano Bonaccini ha formalizzato la sua candidatura, come è in procinto di fare Elly Schlein. Ma il “nuovo Pd” non doveva costruirsi dalle fondamenta e non dal tetto?
A prima vista l’obiezione sembra ragionevole: c’è un lavoro costituente da fare e solo dopo si dovrebbe valutare quale dovrebbe il Governo. Però è un approccio astratto. Nessun percorso costituente si fa nel vuoto. Mentre si fa una Costituente non può non esserci un Governo, un rapporto della Costituente col Governo e ci possono essere anche nuovi Governi come accadde tra 1946 e 1948. Mi spiego meglio con un riferimento: il primo giugno del 1961 Maurice Duverger e Francois Mitterrand realizzarono un confronto per il settimanale l’Express sulla democrazia e il ruolo della leadership. Un classico della scienza politica. Duverger affermò: “Le persone scelgono male gli indirizzi politici in astratto. Un programma è inseparabile da chi deve applicarlo”. Questa verità si è già imposta una volta nel Pd: nel 2007, in seguito al pessimo risultato delle amministrative, si decise non solo, come previsto da tempo, di eleggere l’assemblea costituente, ma di affiancare quell’elezione alla scelta del segretario del partito, che inizialmente non era prevista. La stessa cosa sta accadendo ora: era astratto pensare che ci fosse soltanto una fase di discussione su idee all’oscuro della scelta delle persone per la leadership, persone che si incaricassero di gerarchizzare idee e proposte (spesso ciò che distingue è appunto la gerarchia tra le proposte). Stiamo dando per la seconda volta ragione a Duverger. Bisogna poi fare una precisazione sulla fase costituente: si tratta di fare una significativa revisione costituzionale, alcuni aggiornamenti della parte sui principi e ampie modifiche alla parte organizzativa, ma non di partire da zero, non di cambiare i principi supremi e gli strumenti strettamente conseguenti. Il Pd è nato e non può non essere un partito a vocazione maggioritaria (cosa non alternativa alle alleanze) dentro una democrazia dell’alternanza, che pratica l’unificazione tra leadership interna e di Governo e che per questo usa le primarie aperte per la leadership. Anche per questo non c’è contraddizione con l’emergere delle candidature sin da ora.
Una delle parole più in voga nel dibattito a sinistra è “identità”. Tutti, o quasi, la usano ma in pochi, vere rarità, si cimentano nel sostanziarla. Ci provi lei.
C’è spesso un uso regressivo del termine identità, che va affrontato chiarendo due questioni. Il Partito Democratico ha 15 anni di vita. Quando si parla di identità bisogna tenere conto che, a fianco di chi si è formato direttamente in questi ultimi anni, l’identità richiama un pluralismo di culture politiche. Spesso invece il termine identità è utilizzato per richiamarsi in modo esclusivo solo alla cultura politica della tradizione quantitativamente maggioritaria, quella del comunismo italiano, in un modo peraltro caricaturale che richiama alcuni gruppuscoli dell’estrema sinistra. Abbiamo visto addirittura riproporre la Rivoluzione di ottobre, quando ormai nei fatti gli elettori del Pci, per non parlare del Pds e dei Ds, si ritrovavano già per la gran parte in quella liberaldemocratica del febbraio 1917. C’è poi il secondo aspetto: non si può parlare di identità senza perseguire una ricerca, l’identità non è immobilismo. Il cardinal Ottaviani, campione del conservatorismo cattolico, aveva come motto “semper idem”, ma invece il messaggio del Concilio Vaticano II agli intellettuali, con suo grande dispiacere richiamava un’illuminante frase di S. Agostino: “Cerchiamo con il desiderio di trovare, e troviamo con il desiderio di cercare ancora”. L’identità è un processo e per un partito è data dalla sua funzione, non da contenuti mutevoli. Nella politica delle democrazie consolidate la frattura destra-sinistra ha un valore permanente, anche se i contenuti mutano. L’identità del Pd è quella di essere il perno di una proposta politica potenzialmente di governo nell’area della sinistra democratica o, come diciamo in Italia a causa dell’identificazione della sinistra col comunismo, del centrosinistra. Spetterà poi a chi scriverà il Manifesto delle idee di scendere da questo livello della funzione da svolgere alla precisazione di principi e valori costituzionali del Pd e ai candidati segretari (che sono anche candidati alla guida del Governo secondo lo statuto del Pd e per questo la definizione di primarie non è abusiva) scendere ulteriormente sulle proposte in termini di policies. D’altronde se abbiamo deciso una grande apertura per le iscrizioni e se siamo riusciti a mantenere le primarie aperte come momento decisivo abbiamo fatto un’opzione estroversa che è coerente con questa visione aperta dell’identità.
In un Pd che sposta decisamente la barra a sinistra nel nome della radicalità, c’è ancora spazio per quell’area riformista di cui lei fa parte? Calenda sembra attendervi a braccia aperte?
Ma chi l’ha detto che radicalità deve identificarsi con le posizioni interne di sinistra-sinistra? Spesso nei partiti di centrosinistra chi si pone sulle posizioni di sinistra-sinistra propone ricette tradizionaliste dei decenni precedenti, a colpi di espansione di spesa pubblica allora possibili e oggi no (che magari allora contestava perché minimaliste e non rivoluzionarie). La radicalità, che peraltro deve tradursi nella realizzazione di concrete mediazioni, non è esclusiva di nessuno. Del resto la scelta interna più innovativa, quella delle primarie aperte, ha sempre avuto riserve conservatrici nella sinistra-sinistra che ha provato ad eliminarle senza riuscirci. Peraltro tutto torna. In fondo la diatriba sulle primarie aperte è una forma modernissima dello scontro che avvenne tra bolscevichi e menscevichi al congresso del partito ancora unitario nel 1903: per Lenin che voleva un partito piccolo, iper-identitario, membro del partito doveva essere solo chi partecipava direttamente in prima persona, mentre per il menscevico Martov che voleva una forza più aperta e diffusa, era sufficiente il riconoscersi nel programma per essere ritenuto tale. Non riesco poi a capire quale sistema politico abbiano in mente coloro che giudicano a priori impossibile la convivenza nel Pd italiano di più anime che convivono in tutti grandi partiti di centrosinistra europei. Viviamo, a partire dai livelli comunali e regionali, in sistemi che premiano la logica maggioritaria e il centrodestra, oggi destra-centro, costituisce una coalizione plurale ma capace di aggregarsi. Sul lato sinistro se scomparisse il Pd, se esso non fosse il partito più grande a vocazione maggioritaria, e si polarizzasse lo scontro tra un M5S che oggi vuole interpretare una sinistra tradizionale e un polo centrista, essi sarebbero destinati a restare separati garantendo al destra-centro, pur minoritario, un’egemonia. Rendere l’alternanza quasi impossibile farebbe bene all’Italia?
Nel 2023 si vota in importanti regioni come la Lombardia e il Lazio. Goffredo Bettini sostiene che nel Lazio senza un’alleanza con il Movimento5Stelle di Conte si va a sbattere. Lei che ne pensa? E non vede il rischio che il congresso del Pd si consumi attorno alla questione delle alleanze?
Temo che Bettini abbia ragione, ma dovrebbe spiegarlo a Conte. A me la questione sembra semplice: nel Lazio c’è una giunta che comprende Pd, M5S e centristi, tutti soddisfatti dell’operato della stessa, soprattutto della sanità che è stata una perla durante la pandemia. Il Pd propone l’assessore alla Sanità. Chi meglio di lui può essere il candidato? Perché il M5S si autoesclude? Per questo non vedo un Congresso che si consuma intorno alla questione delle alleanze perché purtroppo esse, in questa fase sembrano inibite da scelte politicistiche dei nostri potenziali alleati. In particolare il M5S pensa di poterci superare alle europee del 2024 se si mantiene distinto e distante da noi. Non vorrei che qualcuno dei candidati alla segreteria pensasse di ridurre questo problema scolorendo la linea europeista e atlantista (direi anche radicale a proposito di radicalismo che non coincide con la sinistra-sinistra) di Letta sull’Ucraina. E’ uno dei criteri di serietà su cui valutare le piattaforme alla segreteria.
L’Italia è governata da una destra fortemente identitaria. In questa identità esibita con orgoglio – la guerra alle Ong, i migranti da respingere, le misure anti-raduni – si ritrovano almeno alcuni di quei tratti del “Fascismo eterno” descritto da Umberto Eco?
Qui non c’entra né il fascismo storico né quello eterno, c’entrano i vincoli del vivere nell’Unione europea e più specificamente nella zona Euro. Siccome gran parte della discontinuità promessa rispetto al Governo Draghi non è praticabile, come si sta vedendo dalla preparazione della legge di bilancio, si cerca di consolare gli elettori facendo qualcosa chiaramente di destra, anche a costo di produrre testi raffazzonati e che reggono ben poco.
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