La ditta è quella corrente della sinistra di cui il leader è sempre stato Massimo D’Alema. Che intende la politica come una vera e propria ditta, con i suoi dipendenti e prodotti da piazzare in ogni sede distaccata. L’occupazione della cosa pubblica (ministeri, partecipate, aziende di stato), e anche privata (tutto legittimo e nel rispetto delle leggi) dei famosi dalemiani, selezionati non per meriti ma per affiliazione. E che dalla missione arcobaleno alle mascherine cinesi, quando c’era qualcuno da piazzare, piazzava un dalemiano. Come da ultimo al ministero della salute guidato da Speranza, dove ci finì persino Alfredo D’Attore come consulente etico. E dove Bersani, esterno, non si capisce perché in pieno covid ‘chattasse’ con il capo di gabinetto di Speranza. Mentre D’Alema cercava di piazzare armi in Colombia. Per fare ora il pacifista con Putin.

Tutti loro, transitati dal Pci ai Ds al Pd, uscirono dal partito nel 2017, quando Renzi dopo il referendum si dimise da palazzo Chigi. Bersani non era d’accordo. Diceva che anche perdendo il referendum, il governo non doveva cadere. Ma doveva galleggiare, perché “c’era la mucca nel corridoio”. Non una volontà di governare per cambiare il Paese, fare le riforme, staccare il gesso dal palazzo, ma occuparlo per non far arrivare le destre. Come provò a fare lui prima di prendersi il due di picche storico da Vito Crimi nello streaming del Quirinale. Quando invece Renzi decise che senza riforme si sarebbe dimesso da Presidente del Consiglio, e lo fece, a lasciare il Pd fu la ditta. Il risultato elettorale non fu soddisfacente, tant’è che persino D’Alema, candidato, rimase senza seggio. E passò a occuparsi del mondo, del vino, e delle sue società di lobbying.

Ma il suo è sempre l’intervento più seguito nelle assemblee di Articolo Uno, mentre detta la linea spiegando che le democrazie cinese, iraniana, palestinese sono migliori di quelle occidentali. Per questo si è sentita la sua assenza due giorni fa, per l’assemblea di scioglimento di Articolo Uno, con la consegna mani e piedi della ditta al Partito Democratico. E dopo Speranza riprende la tessera anche Bersani. Mentre D’Alema non sappiamo se la fa a Gallipoli, a piazza Mazzini o a Bogotà. Del resto che sarebbe finita così si era capito quando alle ultime primarie Bersani votò Schleinperché quella più lontana dal renzismo” di cui secondo D’Alema bisognava eliminare le scorie. Anche se fu proprio Renzi a candidarla alle europee. L’ultima assemblea di Articolo Uno si è tenuta al Cral Whirlpool di Napoli, dopo che è stato rivenduto grazie al governo in carica. Quello stabilimento, chiuso nel 2019, dopo 4 anni di cassa integrazione l’anno scorso ha visto l’abbandono definitivo del sito da parte dell’azienda di elettrodomestici, con conseguente licenziamento di 312 lavoratori.

Eppure sia Di Maio che Orlando, sostenuti dalla ditta, avevano detto di aver risolto la questione e promesso continuità. E invece dopo aver preso gli ultimi incentivi da Di Maio, proprio con Orlando ministro, la Whirlpool invii le lettere di licenziamenti. Con il ministro Orlando che neppure si presentò alla firma. Dopo un anno, con l’arrivo della “mucca”, cioè con il governo di destra, finalmente Urso ha trovato un acquirente (Tea Teck) per la reindustrializzazione del sito e l’assunzione di tutti i 312 lavoratori in naspi. Nonostante questo Articolo Uno è andata in quello stabilimento, con abbraccio di Elly Schlein, per l’assemblea. Senza riconoscere il merito del governo della “mucca”, ma rivendicando una lotta che né il Pd né i 5 stelle erano riusciti a risolvere.

Un po’ come quando Bersani, ospite fisso a La7 tutte le settimane senza contraddittorio, dice di voler combattere le disuguaglianze e poi si fa pizzicare a comprare una borsa Vuitton. Non c’è niente di male, finché non fai la morale agli altri. O come quando, nell’aula di tribunale di Firenze, ha testimoniato come superteste della Procura contro Matteo Renzi per i finanziamenti presi dalla fondazione Open. Mentre lui, legittimamente, li prendeva dai Riva quando guidavano Ilva, senza che nessuno gli ha fatto la morale. Del resto è proprio da Floris a La7 che il 21 febbraio 2017 Bersani annunciò che avrebbe lasciato il Pd per fare al scissione. Da allora, riconoscente per il grande scoop, Floris lo ringrazia intervistandolo ogni settimana in apertura di trasmissione senza contraddittorio.

Un po’ come Meloni in masseria da Vespa, ma senza le polemiche della sinistra e dell’Fnsi. Che poi Vespa il Pd lo aveva invitato, ma il segretario ha detto che preferiva andare al Pride anziché in masseria. Anche se il forum da Vespa è durato quattro giorni, il Pride un paio d’ore. Ed Elly non si è vista arrivare da nessuna parte tutto il resto del tempo. Mentre si è visto Conte in splendida forma (a modo suo) prendersi la scena accusando Vespa di dargli del filoputiniano. E quindi occupando quella fetta elettorale, cosa che Schlein neppure con Ciani, Bersani, D’Alema, Speranza riuscirà a fare. Ha cacciato De Luca in nome del nuovo corso, e si è ritrovata la ditta.